il legame spezzato della Conoscenza

Intorno al 500 ci dicono in periodo rinascimentale e prerinascimentale alto medievale, esisteva nel ‘vecchio’ continente il legame creativo della trasmissione delle conoscenze tra maestro ed allievo l’allievo che a sua volta diveniva maestro passava il suo bagaglio di conoscenze all’allievo a venire e così via… la vita nella bottega d’arte era totale ci si viveva e si creava, si tramandava la tradizione le conoscenze delle arti. Si dava una continuità di conoscenza sapiente all’arte di ogni tipo, in primis quella del vivere: Arte del vivere arte primaria. Era il legame delle botteghe d’arte cinquecentesche e perché no medievali, che hanno riempito il mondo umano di conoscenza di opere d’arte ritenute immortali, se quelle sono le opere d’arte più grandi sicuramente l’arte rispecchiamento immutabile di una società. Ecco le società rinascimentali ci appaiono le più alte ed evolute d’Europa di tutti i tempi a partire dal medioevo. Le società europee toccano con quell’arte il momento massimo, ad esempio nel barocco musicale la gloria della musica umana! Ma vivendo nella museificazione di ogni cosa ci arrivano segnali di un passato artistico importante, ma questo non significa che non si tramandino ancor oggi dei momento di conoscenza ma sono frammenti non un flusso sociale costante. Trasmissione da maestro ad allievo fanno tutt’oggi la ricchezza delle città d’arte del turismo italiano mantenendo benessere prosperità per secoli speriamo a venire. C’è da chiedersi perché da un cento momento in poi questa trasmissione di Sapere si sia interrotta e si sia addirittura negata nelle culture europee. Che cosa è successo di preciso? un fatto è che da un lato è stato negato creando un impoverimento culturale ed un immiserimento dell’arte enorme, dando fine all’arte alta autentica. Però viene da pensare che sia stata soprattutto la massificazione del prodotto industriale che ha fatto le scarpe alla bottega d’arte. Il selvaggio usa e getta a subentrare all’oggetto personalizzato unico per una vita. L’artista artigiano totale si è trovato dall’essere al centro della società finanziato e nella sua possibile capacità ad essere un emarginato visto di mal occhio ritenuto addirittura matto evitato scomodo. Nella società di oggi l’artista è una sorta di strega medievale, una specie di folle senza nessuna prospettiva. Parliamo degli artisti di talento non dei servi del potere che vivono e vanno avanti con il nepotismo e altre cose impronunciabili che non hanno valore creativo. Il talento è visto di mal occhio, la vera maestria nelle società occidentali è quasi completamente trascurata anzi perseguitata. Si tramandano nomi di famiglie di potere al posto del talento. Si finge di portare avanti tutti in una sorta di finta democraticità falso interesse ma poi solo chi è servo fedele e ‘figlio di’ va avanti. Il ruolo-scambio maestro allievo vera fonte e scuola di energia creativa è anni luce distante. Cosa e quanto dobbiamo a quella trasmissione culturale umana maestro allievo di conoscenza: la prosperità delle città d’arte italiane che altrimenti sarebbero tristi povere. Dove sopravvive la cultura della conoscenza della trasmissione? Dove ancora oggi maestro ed allievo vivono in armonia è l’oriente o almeno parte di esso, ma pian piano tutto si sta mescolando. Tornando dall’oriente discipline marziali, yogiche di varia forma torna la cultura maestro allievo che si scontra e deve convivere con quella occidentale che la nega. La cultura industriale non di per se artigianale. Una cultura catto comunista che accoglie tutti nella forma e non nella sostanza alla base di questa misera negazione si scontra con le filosofie orientali subentrando e scorporando il contenuto originale. L’occidente povero svuota il contenuto per lasciare la forma, svuota anima e spirito per lasciare la materia, predilige il mortale all’immortale, il formale alla sostanza. Nascono allora delle contaminazioni improprie degli ibridi dove ad esempio lo yoga di per se figlio inscindibile della trasmissione allievo maestro, è negata in nome di questo spazio un po’ finto fittizio aperto a tutti e per nessuno, una sorta di comunità posticcia che forvia il percorso da cui si origina annegando nelle contraddizioni. Anche alcuni maestri provenienti dall’India si occidentalizzano costruendo degli ibridi per rendere più accessibile il loro lavoro e costruire scuole e fare seguaci. La contaminazione imbrigliata nell’ ego invece di imparare con umiltà semplicità devozione, deve conquistare personalizzare piantare la bandiera con il proprio nome. Disanimare rendendo superficiale ciò che sarebbe profondo. La violenza prende varie forme e toglie la libertà in nome di un falsificato benessere. Un bisogno di riscoprire le origini, la matrice generante per ritrovare la vera forza. Ecco il senso della vita che rompendo le catene, trova spazio oltre la materia sublimandola, cercando laddove era già contenuta la forma del tempo, nascosta nel silenzio dei millenni nell’apparente immobilità. Jiddu Krishnamurti: Maestro e Allievo «Sai, mi hanno detto che io sono allievo di un certo maestro» – egli cominciò. «Credi che lo sia veramente? Ci tengo proprio a conoscere il tuo pensiero sull’argomento. Appartengo a una società che tu conosci, e i capi esterni che rappresentano quelli interni, o maestri, mi hanno detto che come conseguenza del mio lavoro per la società sono stato dichiarato allievo. Mi è stato detto che ho l’occasione di diventare un iniziato di primo grado in questa vita». Egli prendeva tutto ciò molto sul serio e parlammo abbastanza lungamente. Una ricompensa sotto qualsiasi forma è cosa quanto mai grata, soprattutto una ricompensa cosiddetta spirituale, quand’uno sia piuttosto indifferente agli onori del mondo. Oppure quando uno non ha ottenuto molto successo in questo mondo, è cosa molto grata appartenere a un gruppo specialmente scelto da qualcuno che ha fama di persona spiritualmente assai progredita, perché allora si è parte di un gruppo operante per una grande idea, e naturalmente si deve essere ricompensati per la propria obbedienza e per i sacrifici fatti per la causa. Non si tratta di ricompensa nel senso comune della parola, ma di un riconoscimento dell’evoluzione spirituale compiuta; o, come in un’organizzazione ben diretta, si dà riconoscimento ufficiale dell’efficienza di un dipendente per spronarlo a fare ancor meglio. In un mondo in cui si adora il successo, questo genere di avanzamento è compreso e incoraggiato. Ma sentirsi dire da un altro che si è allievo di un maestro, o credere di esserlo, porta ovviamente a molte odiose forme di sfruttamento. Purtroppo, tanto lo sfruttatore quanto lo sfruttato si sentono euforici nel loro reciproco rapporto. Questo espansivo senso di soddisfazione è considerato un progresso spirituale e diventa particolarmente brutale quando vi siano intermediari tra l’allievo e il maestro, quando il maestro si trovi in un altro paese o sia comunque inaccessibile e non ci si trovi in diretto contatto fisico con lui. Questa inaccessibilità e la mancanza di un contatto diretto aprono la porta alla delusione e a meravigliose, ma infantili, illusioni; e queste illusioni sono sfruttate dagli scaltri, da coloro che perseguono la gloria e il potere. Ricompensa e punizione esistono soltanto ove non sia umiltà. L’umiltà non è il prodotto finale di pratiche spirituali e di abnegazione. Essa non è una conquista, non è una virtù da coltivarsi. Una virtù che sia da coltivarsi cessa di essere virtù, perché in questo caso non è che un’altra forma di conquista, un primato da battere. Una virtù coltivata non è abnegazione, ma asserzione negativa dell’io. L’umiltà è ignara della divisione tra superiore e inferiore, tra maestro e allievo. Fino a quando vi sia divisione tra maestro e allievo, fra la realtà e noi stessi, la comprensione non è possibile. Nella comprensione della verità non c’è maestro o allievo, ne’ superiori né inferiori. La verità è la comprensione di ciò che è di momento in momento senza il fardello o il residuo del momento passato. Ricompensa e punizione non rafforzano che l’io, cosa che di per sé nega l’umiltà. L’umiltà è nel presente, non nel futuro. Non si può diventare umili. Nel semplice divenire è la continuazione dell’importanza di sé, la quale si nasconde nell’esercizio di una virtù. Quanto la nostra volontà di riuscire, di diventare è forte! Come possono andare insieme umiltà e successo? Eppure è proprio questo che sfruttatore e sfruttato «spirituali» perseguono e proprio in questo si trovano conflitto e dolore. «Vuoi forse dire che il maestro non esiste e che il mio essere un allievo è un’illusione, semplice polvere negli occhi?» egli mi domandò. Se il maestro esista o no, è cosa priva d’importanza. È importante per lo sfruttatore, per le scuole e società segrete; ma per l’uomo che cerca la verità, la quale porta felicità somma, è questa senza dubbio questione priva totalmente d’importanza. Il ricco e il più povero facchino sono altrettanto importanti quanto il maestro e l’allievo. Se il maestro esista o non esista, se ci siano distinzioni fra iniziati, allievi e così via, non è affatto importante, ma ciò che è importante è comprendere se stessi. Senza la conoscenza di sé, il nostro pensiero, con cui ragioniamo, non ha basi. Senza prima conoscere te stesso, come puoi sapere ciò che è vero? L’illusione è inevitabile senza conoscenza di sé. È infantile sentirsi dire e accettare che si è questo o quello. Attento all’uomo che ti offre una ricompensa in questo mondo o in quell’altro.