La tromba di conchiglia

L’uso di una grande conchiglia spiraliforme come strumento a fiato rappresenta uno dei modi più arcaici e naturali di produzione del suono, principalmente per assolvere a funzioni segnaletiche, in pace o in guerra, o anche in contesti rituali e festivi. In Sicilia, ad esempio, fino a 30-40 anni fa il suono della brogna (trumma o tromba di conchiglia) annunciava l’inizio di attività agricole come il trasporto delle olive nei frantoi o l’avvio dei mulini ad acqua utilizzati per la molitura del grano, e nelle battute di caccia serviva a stanare gli animali selvatici. Turbinella Pyrum Nei testi del buddhismo antico il suono della conchiglia (saṅkha) – pieno, potente ed espansivo – ricorre come similitudine per la qualità inclusiva e pervasiva della mente che si sviluppa nella meditazione incentrata sui quattro “illimitati” (appamāna) o “atteggiamenti sublimi” (brahmavihāra): la benevolenza (mettā) la compassione (karunā) la gioia partecipe o apprezzamento (muditā) e l’equanimità (upekkhā). E’ come se vi fosse qualcuno che è abile nel suonare la conchiglia. Va in un posto dove nessuno l’ha mai udita prima. Sale sulla cima di un alto monte a mezzanotte e con tutte le forze soffia nella conchiglia. Ne esce un suono meraviglioso che pervade le quattro direzioni. (1) La capacità del suono di estendersi nello spazio saturandolo con una specifica qualità percettiva rispecchia metaforicamente l’esperienza meditativa di un campo unificato e permeato da un singolo sentimento o sensazione significativa associata all’intento/pensiero di gentilezza, compassione, apprezzamento o equanimità. Questo particolare ‘suono’ tende non solo a colorare, per dir così, la coscienza come se quest’ultima fosse un contenitore statico, ma possiede un intrinseco dinamismo che estende la coscienza dissolvendo i contenuti  che generano misura e posizione: si parla dunque di una ‘mente illimitata’ perché non misurabile attraverso concetti e intenzioni che reificano l’esperienza, generando il confine fra soggetto e oggetto, interno ed esterno. Così come il suono della tromba di conchiglia si diffonde senza ostacoli  dalla cima del monte e nella notte è chiaramente udibile da chiunque , così l’irradiazione dei brahmavihāra non è circoscritta o rivolta a qualcuno in particolare e presuppone la prospettiva ampia e non ostruita acquisita con il previo abbandono dei cinque impedimenti e dei pensieri distraenti. In questo senso, il metodo di meditazione attestato nella letteratura buddhista posteriore e insegnato in prevalenza anche oggi in occidente, consistente nello sviluppare sistematicamente la benevolenza, eccetera, verso di sé, la persona cara, la persona neutra e la persona non gradita od ostile, per poi estenderla a diverse classi di esseri e infine a tutti gli esseri senza esclusioni, si potrebbe forse intendere come un abile mezzo o addestramento preliminare volto a mettere in luce e superare i pregiudizi cognitivi ed emotivi per cui certi sentimenti o intenzioni positive sono evocati dalle caratteristiche attribuite dal meditante a un particolare oggetto, o comunque legati a una categoria di persone, piuttosto che essere l’espressione di un desiderio autonomo del cuore. Nei Discorsi antichi, d’altro canto, è a più riprese sottolineato il valore della benevolenza e della compassione espresse con pensieri, parole e atti nei confronti di esseri o individui specifici (ad esempio i propri compagni di pratica, persone che agiscono scorrettamente, animali). Ma ciò sembra riferirsi più a un contesto relazionale e allo sviluppo di qualità e intenzioni etiche nel quotidiano, che non a un metodo di meditazione formale. Traduco di seguito la sezione del Saṅkhadhama Sutta Saṃyutta Nikāya 42.8 dove ricorre la formula che nei Discorsi descrive invariabilmente la meditazione sui brahmavihāra (qui evidenziata in grassetto) e che termina appunto con la similitudine del suonatore di conchiglia. Il contesto è una conversazione fra il Buddha e il giainista Asibandhakaputta intorno alle conseguenze delle azioni eticamente rilevanti sulla qualità della futura rinascita (2). Il Buddha confuta la nozione semplicistica del kamma enunciata dal suo interlocutore, secondo cui la rinascita dipenderebbe dalle azioni che si compiono abitualmente, dicendo che se così fosse nessuno subirebbe le conseguenze negative dei propri atti nocivi, visto che anche un assassino passa la maggior parte del suo tempo a non uccidere, piuttosto che a uccidere. Tale conclusione paradossale, che nega il nesso di causa ed effetto e la responsabilità personale, è ritenuta insoddisfacente tanto dai buddhisti che dai giainisti, anche se con motivazioni diverse. Il Buddha, poi, mostra come sia possibile abbandonare qui e ora le azioni nocive e intraprendere azioni benefiche; e, oltre a ciò, sviluppare la mente e il cuore con la meditazione in modo da neutralizzare o indebolire gli effetti delle azioni compiute in passato sotto l’influsso di avidità, odio e illusione che limitano e condizionano la coscienza. Il soggetto del brano seguente è qualcuno che ha ascoltato l’insegnamento del Buddha e ha fiducia di poter cambiare in meglio, superando il rammarico per i comportamenti e gli atteggiamenti non saggi del passato e impegnandosi giorno per giorno a vivere diversamente: “Smette di uccidere e si astiene dall’uccidere. Smette di rubare e si astiene dal rubare. Smette di comportarsi irresponsabilmente in ambito sessuale e si astiene dal sesso irresponsabile. Smette di mentire e si astiene dal mentire. Smette di seminare zizzania e si astiene dal seminare zizzania. Smette di parlare in modo offensivo e si astiene da un linguaggio offensivo. Smette di chiacchierare inutilmente e si astiene dalle chiacchiere inutili. Abbandonando il desiderio invidioso, non nutre invidia. Abbandonando il rancore e l’odio, non nutre odio. Abbandonando le opinioni scorrette, adotta una prospettiva corretta. (3) Quel discepolo dei nobili – senza avidità, senza malanimo, vigile, consapevole – pervade la prima direzione dello spazio con una mente colma di benevolenza; e così pure la seconda, la terza e la quarta direzione. In alto, in basso, in mezzo, ovunque, completamente: pervade tutto il mondo con una mente colma di benevolenza, vasta, magnanima, illimitata, non ostile e non aggressiva.  [come sopra]  pervade tutto il mondo con una mente colma di compassione: vasta, magnanima, illimitata, non ostile e non aggressiva. [come sopra] pervade tutto il mondo con una mente colma di apprezzamento: vasta, magnanima, illimitata, non ostile e non aggressiva. [come sopra] pervade tutto il mondo con una mente colma di equanimità: vasta, magnanima, illimitata, non ostile e non aggressiva. Come una persona vigorosa che soffia nella tromba di conchiglia si fa sentire senza sforzo in tutte le direzioni, allo stesso modo, quando la liberazione del cuore tramite la benevolenza [la compassione, l’apprezzamento, l’equanimità] è stata coltivata e realizzata in questo modo, qualunque azione limitante del passato non lascia traccia né perdura. “ La temporanea liberazione del cuore (cetovimutti) tramite la benevolenza o le altre tre qualità/intenzioni illimitate è dunque una potente esperienza trasformativa che ‘Imita’ e precorre, esperienzialmente, la condizione ideale di una mente libera che esprime solo risposte sane ed evita intenzioni e reazioni non salutari. Con questo tipo di addestramento le radici delle tendenze della mente a generare karma basato sull’ignoranza si depotenziano dall’interno.(4) Una similitudine contenuta in un altro discorso (Aṅguttara Nikāya 3.100) paragona gli effetti di un’azione nociva di poco conto compiuta da qualcuno che ha sviluppato la virtù e ha una mente aperta e incline agli illimitati a un granello di sale disciolto nell’acqua del Gange: essendo l’acqua abbondante, non diventerà salata e inadatta a essere bevuta. Al contrario, un granello di sale disciolto in un bicchier d’acqua (in una mente ristretta) avrà il potere di renderla imbevibile. Allora il nobile discepolo riflette così: ‘Prima, la mia mente era ristretta e sottosviluppata; ora è illimitata e ben sviluppata’. A questo punto, secondo la logica dei Discorsi, il praticante che ha maturato una corretta prospettiva circa la sofferenza, le sue cause, la cessazione e il sentiero (ossia le quattro nobili verità) può compiere un ulteriore passo verso la liberazione ‘incrollabile’ esaminando l’esperienza meditativa del brahmavihāra alla luce della visione profonda o vipassanā, che mina il desiderio e la possibilità di aderire, identificarsi o aggrapparsi a un qualunque stato mentale o condizione di esistenza: (5) ‘Questa liberazione della mente tramite la benevolenza (ecc.) è condizionata e prodotta intenzionalmente; ma tutto ciò che è condizionato e prodotto intenzionalmente è impermanente, soggetto a cessazione’. Se persiste in ciò, ottiene l’esaurimento degli influssi [o se non l’ottiene, consegue come minimo il non-ritorno a un’esistenza sul piano sensoriale] Majjhima Nikāya 52.(Letizia Baglioni) NOTE  Rendo in italiano un brano del Madhyama-āgama 152 tradotto dall’originale cinese dal ven. Anālayo in: Compassion and Emptiness in Early Buddhist Meditation pp. 23-24 (clicca sul link per scaricare il pdf del volume, nel quale l’autore mette a confronto testi appartenenti a diverse linee di trasmissione e redazione dei discorsi del Buddha – in particolare gli Āgama cinesi e i Sutta pali – per offrire un quadro dettagliato, coerente, ma anche ricco di sfumature, degli insegnamenti originari circa la pratica meditativa in oggetto). Cfr Majjhima Nikāya 99 (Subha Sutta) dove però la similitudine si limita a menzionare un vigoroso trombettiere che si fa udire senza sforzo nelle quattro direzioni. Bhikkhuni Dhammadinnā, “Semantics of Wholesomeness: Purification of Intention and the Soteriological Function of the Immeasurables. (appamāṇas) in Early Buddhist Thought”, 2014, p. 73. Per un esame dettagliato della coltivazione degli illimitati nel contesto del triplice addestramento superiore delineato nei testi del buddhismo antico  (etica, concentrazione e saggezza) rimando al saggio di Giuliana Martini (alias Bhikkhuni Dhammadinna), The Meditative Dynamics of the Early Buddhist Appamānas , 2011.