La plastica che butti la mangi nel pesce che compri


Il mare sta soffocando: in media 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono ogni anno nei mari di tutto il mondo. Questo disastro può essere fermato. L’UE sta rivedendo le Direttive sui rifiuti: è una occasione da non perdere! Chiedi al Ministro di difendere il mare! Le tartarughe, le balene, i pesci, gli uccelli marini… ti ringrazieranno! Produciamo sempre più plastica usa e getta, molta più del necessario e riciclarla non basta. L’80% dell’inquinamento marino è fatto di plastica. Quest’invasione sta rapidamente trasformando i nostri mari nella più grande discarica del mondo. Non lasciare che tutta questa plastica soffochi i nostri mari: uccide la fauna marina, contamina la catena alimentare e persiste nell’ambiente per centinaia di anni. Nel Mediterraneo, residui di plastica sono stati trovati nello stomaco di pesci, uccelli marini, tartarughe e cetacei.
Il dossier pubblicato dei ricercatori lancia un’ulteriore ombra sull’inquinamento dei mari e dei danni che questo può provocare all’uomo. Chissà quante volte abbiamo notato pezzi di plastica galleggiare in mare. Bene. Molte piccole parti simili potrebbero essere state ingerite dai pesci ed essere finite così sulle nostre tavole tra una frittura e l’altra. I numeri fanno impressione. In mare galleggiano circa 5mila miliardi di pezzi di plastica. Mica pochi. E il 99% di questi arrivano prima o poi all’uomo attraverso calamari e tonni. Le micro particelle ingerite dall’uomo possono provocare dei problemi alla salute, come spiegato dal dottor Colin Janssen: “Abbiamo dimostrato che questi frammenti entrano nel nostro corpo attraverso il pesce che ingeriamo – ha detto Janssen – possono rimanerci per un po’ di tempo. Quindi abbiamo bisogno di capire che fine fa quella plastica”. Il ricercato ha poi precisato dove vanno a finire le microparticelle: “La plastica viene inglobata e ‘dimenticata’ dal corpo oppure causa infezioni o altri danni? – aggiunge il ricercatore -. Non lo sappiamo, ma dovremmo saperlo”. Per fare qualche esempio, scrive HuffingtonPost, le cozze che filtrano e “puliscono” l’acqua, a volte tengono in pancia un pezzo di plastica. Quando possono la espellono, ma secondo i ricercatori ogni cozza ha in media un pezzo di plastica che assorbe nei tessuti. Dobbiamo fare qualcosa”, ha detto Janssen. Se le cose rimarranno così, infatti, a fine secolo ogni uomo che mangia pesce mangerà di fatto 780mila pezzi di plastica ogni anno.

La soluzione è il PET?
Un batterio mangia la plastica per battere l’inquinamento
Un team di ricercatori giapponese ha identificato una nuova specie di batterio, Ideonella sakaiensis 201-F6, capace di “mangiare” la plastica. Più precisamente può rompere i legami molecolari del polietilene tereftalato, meglio noto come PET. Trasforma il PET in un’altra sostanza chiamata MHET e poi usa un enzima aggiuntivo per trasformarla in componenti base del PET. Il batterio permette inoltre di trasformare MHET in un nuovo materiale PET. È una scoperta importantissima se pensiamo che la maggior parte delle bottiglie di plastica per l’acqua in commercio nei supermercati è in PET e spesso finisce in natura, specialmente nei mari dove si sono formate vere e proprie isole di plastica. Uno scempio. Il gruppo di ricerca giapponese ha setacciato centinaia di campioni di inquinamenti PET prima di trovare una colonia di organismi che usa la plastica come fonte di cibo. Ulteriori indagini hanno individuato batteri che possono degradare quasi totalmente la plastica di bassa qualità entro sei settimane. “Questo è il primo studio rigoroso – sembra essere stato svolto molto attentamente – che ho visto e che mostra della plastica idrolizzata (scomposta) dal batterio”, ha affermato il dottor Tracy Mincer, ricercatore del Woods Hole Oceanographic Institution. Le molecole che formano il PET hanno legami molto forti, ha spiegato il professor Uwe Bornscheuer. “Fino a poco tempo fa nessun organismo noto era in grado di decomporlo”. L’Ideonella sakaiensis 201-F6 sembra aver sviluppato enzimi specifici capaci di scomporre il PET, una risposta della natura all’accumulo di plastica nell’ambiente negli ultimi 70 anni. Secondo Enzo Palombo, professore di microbiologia della Swinburne University, un’evoluzione così rapida è possibile in quanto i microbi hanno la capacità straordinaria di adattarsi a ciò che li circonda. “Se mettete un batterio in una situazione dove ha solo una fonte di cibo da consumare, nel tempo si adatterà a usarla”. Il batterio ha necessitato di più tempo per “mangiare” PET altamente cristallizzato usato nelle bottiglie. Ciò significa che gli enzimi e i processi devono essere rifiniti prima che possa essere utile per il riciclo industriale o ripulire dall’inquinamento. “È difficile scomporre il PET altamente cristallizzato”, ha affermato il professor Kenji Miyamoto della Keio University, uno degli autori dello studio. “I nostri risultati di ricerca sono solo l’inizio per l’applicazione. Dobbiamo lavorare su tante questioni per le diverse applicazioni. Ci vuole molto tempo”. Il PET rappresenta quasi un sesto dell’annuale produzione di plastica e malgrado sia tra le plastiche più comunemente riciclate il World Economic Forum (WEF) stima che solo poco più della metà è raccolta per il riciclo e molta meno finisce per essere riusata. Si stanno facendo progressi sulle plastiche biodegradabili e il riciclo, ma il professor Bornscheuer fa notare che “questo non aiuta a sbarazzarsi della plastica già nell’ambiente”. Le potenziali applicazioni di questa scoperta rimangono ancora da stabilire. L’uso più ovvio sarebbe come agente biologico in natura: i batteri potrebbero essere spruzzati sui cumuli di spazzatura galleggiante negli oceani. Questo metodo è usato soprattutto per combattere fuoriuscita di petrolio, ma non tutti sono d’accordo sull’efficacia. Inoltre scomporre la plastica potrebbe liberare nell’ambiente additivi che possono essere tossici. Il batterio potrà essere usato nel riciclo e si studia come usare gli scarti e ridurre l’uso di petrolio per la produzione di plastica.