La donna in Cina dalla tradizione alla modernità

La lotta silenziosa delle donne nella Cina imperiale (Nataly Pizzingrilli)

Spesso gli osservatori politici occidentali dimenticano che i movimenti di resistenza femminile al sistema patriarcale (o meglio ai sistemi patriarcali) non si limitano alla storia, seppur plurisecolare, complessa e contraddittoria del femminismo occidentale. Infatti, così come innumerevoli sono stati gli ordinamenti patriarcali sviluppatisi nella storia, innumerevoli sono state anche le forme di resistenza messe in atto dalle donne, attraverso strumenti talvolta inaspettati e rimasti a lungo sconosciuti. È il caso del “Nüshu”, letteralmente la “scrittura delle donne”, un’antica forma di scrittura codificata nata nella remota contea di Jiangyong, nella regione dell’Hunan, nel Sud-Est della Cina.

Le prime chiare tracce del Nüshu risalgono al 1800; tale codice veniva usato dalle donne di etnia Han, Yao e Miao, senza alcuna distinzione. Alcuni esperti ritengono comunque che tale scrittura sia ben più antica, risalente alla dinastia Song (960-1279) o addirittura alla dinastia Shang (2° millennio a.C.). Quale che sia l’esatto orizzonte temporale in cui nacque, l’obiettivo principale del Nüshu resta chiaro: permettere alle donne di comunicare tra loro, senza che gli uomini lo sapessero o potessero comprendere. Le donne che ne facevano uso erano per lo più lavoratrici della classe inferiore che non avevano alcun diritto all’istruzione e non erano quindi in grado di scrivere in cinese; donne analfabete che dunque crearono un sistema scritturale apposito, di natura sillabica, adattandolo ai dialetti parlati nella regione, con il preciso scopo di ricavare uno spazio privato e restare in connessione tra loro, fuggendo al controllo maschile. Il Nüshu veniva prevalentemente utilizzato per creare poesie e canti tradizionali legati alla principale attività femminile ovvero la tessitura. Tuttavia, non pochi versi Nüshu cantano della durezza del lavoro per trarre sostentamento dalla terra, dell’isolamento e della solitudine femminile, soprattutto successivamente a quello che per la società androcentrica cinese era l’evento più importante per la vita di una donna: il matrimonio. Il Nüshu veniva trascritto su un’ampia varietà di supporti. Ancora oggi, infatti, abbiamo la concreta testimonianza degli antichi manufatti su cui, attraverso questa scrittura, venivano trasmessi messaggi. Si tratta per lo più di oggetti quotidiani come ventagli, cinture, tessuti regalati o scambiati e tramite cui circolava qualcosa di più segreto, proibito e nascosto: la solidarietà femminile tra “sorelle giurate”. Queste ultime erano in genere un gruppo di tre o quattro giovani donne non imparentate che si giuravano amicizia scrivendo lettere e cantando canzoni in Nüshu l’una all’altra. Nel nostro lessico occidentale femminista definiremmo questi atti come dimostrazioni di “sorellanza”, dovuti alla necessità e al desiderio di creare una rete di solidarietà femminile, resa possibile da uno strumento prezioso come una scrittura conosciuta e usata per secoli solo dalle donne e appresa, di madre in figlia, semplicemente attraverso la copiatura dei caratteri e la ripetizione dei canti tradizionali.

Ovviamente per gli uomini del tempo sarebbero stati inaccettabili qualsiasi forma di resistenza o qualsiasi accenno diretto alle fatiche, ai dolori e alle sofferenze subite dalle donne; inutile dire che forme di scrittura come  i “Diari della terza notte”, destinati a contenere il dolore di madri e sorelle che vedevano partire la giovane ragazza, gli auguri per un futuro sereno e le successive parole intimorite e incerte sulla nuova vita lontana dalla famiglia vergate dalla novella sposa, non potessero aver alcun posto nella cultura e nella letteratura “ufficiale”, diretto riflesso di una società patriarcale, in cui la voce delle donne non aveva alcuna risonanza pubblica. Proprio per questo, tale atto di disobbedienza, questo tentativo di riservarsi uno spazio di autonomia e libertà all’interno dei soffocanti ruoli di genere imposti, rimase per molto tempo sconosciuto. Solo negli anni Ottanta gli studiosi occidentali hanno avuto modo di conoscere questa forma di scrittura; tale rivelazione si deve curiosamente a un uomo, Zhou Shuoyi, che negli anni Cinquanta, per caso, venne a conoscenza del codice e decise di studiarlo. Purtroppo, il suo lavoro sulla lingua e sulla cultura feudale cinese venne condannato e distrutto, a seguito della Rivoluzione culturale di Mao Zedong, avvenuta negli anni Sessanta. Uno degli obiettivi della Rivoluzione culturale era infatti quello di eliminare qualsiasi cosa avesse un legame con il «vecchio mondo», a cominciare da tutto ciò che testimoniasse la passata cultura feudale della Cina. Compreso il Nüshu. Proprio per questo, tale scrittura venne bandita: questa censura, unita al fatto che a partire dagli anni Cinquanta anche le donne furono ammesse a un’istruzione più formale, in lingua cinese, determinò una progressiva scomparsa della “scrittura delle donne”; d’altronde, uno dei suoi principali motivi di esistenza, la totale esclusione della donna all’educazione scolastica, era rapidamente venuta a mancare. Zhou Shuoyi, tuttavia, non dimenticò i suoi studi: dopo essere stato liberato dal campo di lavoro in cui dovette trascorrere 21 anni continuò a tradurre instancabilmente la “scrittura delle donne” in cinese mandarino, realizzando nel 2003 il primo dizionario di questa lingua. In questa colossale impresa fu aiutato dall’ultima donna che aveva appreso a leggere e scrivere il Nüshu con i metodi tradizionali, Yang Huan-yi: la morte di quest’ultima nel 2004 non ha così segnato la fine per il Nüshu bensì il passaggio a un’altra fase della sua esistenza. Oggi, in un panorama politico diverso, di stampo nazionalista e in controtendenza tanto al maoismo quanto alla glorificazione del passato feudalesimo imperiale, si sta infatti tentando di recuperare il Nüshu, diffondendone la conoscenza e lo studio. La “lingua delle donne” viene infatti appresa in alcune università e in corsi specifici, come all’ Università Tsinghua di Pechino. Qui, in particolare, la professoressa Zhao Liming e la sua squadra sono riusciti a raccogliere e tradurre oltre il 95% di tutti i documenti originali esistenti scritti in Nüshu, pubblicando nel 2005, in cinque volumi, l’antologia di testi più completa fino ad oggi.

Inoltre, gli oggetti recanti versi in Nüshu, sopravvissuti all’iconoclastia maoista, sono conservati in un museo fatto costruire nel 2007 sull’isola di Puwei, nella contea di Jiangyong, patria natia di tante autrici in scrittura Nüshu.

Dunque, soprattutto dagli anni Duemila, questa lingua codificata sta vivendo una nuova fase: nato dalle donne per le donne, in povere stanze piene di telai, canti e segreti sussurrati, il Nüshu fiorisce ora alla luce del sole, testimoniando con i suoi versi una passata e tenace ribellione femminile al sistema maschilista della Cina imperiale.

La donna in Cina: dalla tradizione alla modernità (Fernando Reyes Matta)

Nel marzo del 2013 il presidente Xi Jinping si recò per la prima volta all’estero come massima autorità della Cina, e la sua prima tappa fu Mosca. Quando si aprì la porta dell’aereo, i cinesi e il resto del mondo videro una scena mai vista prima: il Presidente emerse dall’aereo tenendo per mano la moglie, bella ed elegante. Ma lei, Peng Liyuan, in realtà brillava di luce propria anche prima che Xi giungesse al vertice del potere: era una cantante di musica folclorica, molto popolare, che prima che suo marito diventasse Presidente della Cina, partecipava regolarmente al Festival di Capodanno della televisione cinese. Ma Peng Liyuan rappresenta davvero il simbolo della nuova donna cinese, che nel XXI secolo avrà un ruolo diverso da quello che per millenni hanno svolto le donne in quel paese asiatico? La risposta non è molto chiara perché in Cina sono ancora presenti delle contraddizioni che ostacolano la donna nel momento di definire i ruoli all’interno della coppia o di assumere responsabilità in campo economico o imprenditoriale. Fino a non molto tempo fa – e ora si può vedere chiaramente – l’uomo camminava davanti e la moglie qualche passo indietro, e mai andavano per mano. Per questo ha avuto un grandissimo impatto un video circolato all’inizio del 2015, con vivo successo: “Papà Xi ama mamma Peng”. Un video casalingo che combinava musica, foto, disegni, il tutto in stile molto kitsch: il Presidente appariva come un uomo dolce e romantico in un videoclip sulla storia d’amore con sua moglie, Peng Liyuan. Il video era opera di quattro musicisti “rap-pop” della città di Zhengzhou, e divenne subito virale nel paese, su Tencent Video, lo Youtube cinese. Nei primi nove giorni venne visto da 131 milioni di persone, il 10% della popolazione del paese. Il messaggio era chiaro: “Gli uomini dovrebbero imparare da papà Xi e le donne da mamma Peng”. Ma al di là dello stile da cronaca rosa, il video pone una questione di fondo: siamo entrati in una nuova tappa della vita delle donne in Cina?

L’altra metà del cielo? – Mao ha detto una volta che la donna è la metà del cielo. Ma fino alla sua morte, nel 1976, quella metà non è riuscita a vivere pienamente la parità che le corrispondeva. Quando nasce il movimento nazionalista e l’aspirazione a una repubblica, le donne hanno dietro di sé secoli di un sistema culturale che le pone in secondo piano, con regole fissate dai principi ancestrali di Confucio. Una società dove la donna è soffocata da determinanti di generazione, età e genere. La famiglia, nucleo essenziale dell’ordinamento cinese, era patriarcale, patrilineare e patrilocale. La donna era segnata da un destino di “migrazione” dal suo nucleo familiare di origine a un altro dove risultava un’estranea. I matrimoni erano combinati dai genitori, specialmente le donne anziane, senza alcuna considerazione per la volontà emotiva della donna, che poi restava sottomessa alla volontà del marito e della suocera. Il matrimonio non era monogamico, dato che il concubinato faceva parte integrante del modello della famiglia tradizionale cinese. Una donna ignorante è virtuosa. E fin dal X secolo è degna di particolare ammirazione la donna che imprigiona i suoi piedi per farli restare piccoli. Ma quella condizione le impedisce di lavorare – fisicamente non può muoversi nei campi – e resta chiusa in casa, per fare lì quel che può e cercare di dare alla luce un figlio maschio. Ma quella donna ha saputo, tuttavia, creare un mondo simbolico e comunicativo suo proprio, al margine del mondo maschile, il nushu. (nu vuol dire donna, shu libro, scrittura. N.d.T.). Per vari secoli – alcuni dicono fin dal III secolo della nostra era, altri gli riconoscono una storia di soli 400 anni – le donne hanno creato un codice segreto per le loro comunicazioni, trasmesso di generazione in generazione. Il nushu è stato creato soprattutto per scrivere la “lettera del terzo giorno”, un libro che le madri davano alle figlie che andavano spose, in cui formulavano i loro auguri di felicità per la nuova vita delle giovani. Di fronte all’ignoranza e all’analfabetismo imposto dagli uomini, le donne crearono i loro segni e li trasmisero su ricami, ventagli, cinture e altri oggetti sui quali lasciavano il segno del loro scambio. Una docente dell’università di Tshingua (che mi ha personalmente confermato i suoi studi) è riuscita a recuperare alcuni testi dopo che il segreto le fu rivelato dall’ultima delle iniziate, una donna che morì nel 2006 a 98 anni. Uno dei testi dice: “Gli uomini osano uscire di casa per affrontare il mondo esterno, ma le donne non sono meno coraggiose perché hanno creato un linguaggio che gli uomini non possono capire”. E un altro: “Dobbiamo stabilire rapporti di sorelle fin da giovani e comunicare attraverso la scrittura segreta”. Perché ricordare questo? Perché esiste nelle donne un fondo di ribellione che emerge quando sorge il nazionalismo o si presentano altre circostanze che promettono di dar loro maggiore libertà. Sono ignoranti dal punto di vista della logica maschile e del controllo del potere. Ma non lo sono per la conoscenza profonda – forse non la si misurerà mai del tutto – di un sapere femminile per agire con astuzia di fronte all’oppressione del sistema. In questo contesto, nazionalismo e femminismo coincidono nella lotta per la modernizzazione della Cina. Non ci potrà essere una società nuova, moderna, se la donna non partecipa attivamente allo sviluppo e alla conquista dei diritti. Nella storia cinese resta anche il seme gettato dal movimento religioso dei Taiping, che a metà del XIX secolo propone l’egualitarismo sociale e dà alle donne gli stessi diritti degli uomini, specialmente per la proprietà e l’usufrutto della terra. “I Taiping istituirono un trattamento egualitario delle donne, incluso l’accesso ai gradi di comando; nel loro esercito c’erano anche truppe femminili. Si pronunciarono contro il bendaggio dei piedi, la prostituzione e il commercio delle donne. Il matrimonio doveva basarsi sull’attrazione reciproca, non su accordi finanziari fra le famiglie, come nel passato; l’unione doveva essere monogamica. Tutte queste misure erano dirette contro la classe possidente, con i suoi accordi matrimoniali a fini di mobilità sociale, contro l’uso di bendare i piedi come segno di status, contro il concubinato e l’affermazione del dominio maschile sulle donne”. L’occupazione europea porta con sé chiese, collegi e nuovi costumi, e con questo una nuova educazione per le giovani delle famiglie aristocratiche cinesi. La primavera del 1898 porta il movimento dei “Cento giorni”. I suoi dirigenti elaborano un programma in cui si propone il cambiamento della condizione femminile. La donna deve avere capacità professionali, essere produttiva e partecipare ai compiti che sono stati dominio esclusivo dell’uomo. Diventa già allora evidente la necessità di abolire l’uso secolare dei piedi bendati. Il movimento viene schiacciato, i suoi intellettuali si rifugiano in Giappone e là maturano ulteriormente le loro idee di modernità. Le donne apprezzano le riviste femminili giapponesi e pensano di fare lo stesso nel loro paese. L’istruzione è la porta principale verso il cambiamento.

La repubblica e i cambi in sospeso – Si arriva alla repubblica, ma le donne, per quanto partecipino a tutto il processo – anche in campo militare – restano sempre prive del diritto di voto. Il nuovo Codice civile stabilisce l’eguaglianza della donna di fronte a tutte le istanze, ma in pratica questo non succede. E quando Chiang Kai-shek avvia il movimento “Nuova vita”, si ha una regressione ancora maggiore. Con l’idea di organizzare la vita e la politica in base alle quattro virtù del pensiero di Confucio – correttezza, rettitudine, integrità e onore – quel che si verifica è una retromarcia che torna a rinchiudere le donne in scuole esclusivamente femminili dove si forma la futura madre per i suoi doveri di casalinga. Ma il patto fra comunisti e nazionalisti per combattere insieme l’invasore giapponese rende evidente che il successo è possibile solo se le donne si fanno parte attiva nei molteplici compiti che quella lotta comporta. Il conflitto obbliga a modernizzare. E nella guerra civile, le donne saranno pronte a lottare politicamente e militarmente, da una parte e dall’altra del sistema. Donna è democrazia, donna è libertà, donna è nazione, donna è uguaglianza. Ognuno sceglie i sinonimi più vicini al suo progetto politico. Quanta differenza c’è fra la donna cinese che supera il XIX secolo e quella che si è lasciata dietro il XX? Oggi certo la donna gode di maggiori diritti, ha accesso all’istruzione, ma anche installata nella modernità – con il diritto di disporre del proprio corpo e di scegliere chi amare – ha ancora di fronte problemi molto gravi. Qualsiasi donna giunga a livelli molto alti nelle imprese o nelle istituzioni pubbliche sa che le sarà molto difficile sposarsi o mantenere una solida relazione di coppia: E neppure è facile raccontare delle verità ritrovate nel baule segreto del femminismo. Riprendere il nushu quando si passa l’anno 2000? Si può fare, si può cercare di farlo diventare un patrimonio delle donne cinesi, da esporre in un museo. Ci si possono mettere i ventagli usati per scrivere in segni strani il loro sapere, o le iscrizioni su cinture o carte difficili da trovare. Leggere un romanzo come K: l’arte dell’amore, di Hong Ying? No, non tanto. In quel libro si descrive il rapporto sentimentale fra Julian Bell, figlio di Vanessa Bell e nipote di Virginia Wolf, e la poetessa cinese Lin Cheng. È un romanzo di forte carica erotica, che descrive questo rapporto ambientato a Pechino negli anni Trenta, in cui si riflette lo scontro fra la cultura orientale e quella occidentale e si adombra l’incombere della guerra. Il romanzo è proibito in Cina perché è tuttora in corso un processo di diffamazione intentato dagli eredi della poetessa, ma ne circolano clandestinamente decine di migliaia di copie. Il romanzo è stato pubblicato a Taiwan e da lì, come da Hong Kong o Macao, gli esemplari arrivano facilmente nel continente. Il testo si basa sulle lettere che il figlio invia alla madre, alle quali l’autrice ha avuto accesso. La linea del romanzo è questa: l’iniziazione di un uomo occidentale alle mitiche conoscenze dell’alchimia taoista del sesso, guidato da una cinese che non aveva potuto provarle dato il rifiuto che il marito progressista aveva opposto a ciò che egli riteneva – al pari degli intellettuali d’avanguardia del tempo – delle “superstizioni taoiste”. La madre e altre donne avevano passato a quella donna i segreti di una lunga tradizione, che lei aveva potuto vivere con l’amante inglese. Alla fine, lui andrà a combattere nella guerra civile spagnola, mentre Lin Cheng sceglie il suicidio.

Le riforme economiche e la condizione femminile – Temi come questi, anche se con una certa ingenuità o con una presentazione stereotipata, si affacciano oggi nei teleromanzi cinesi. Sono seguiti con passione da milioni di donne in tutto il paese e a poco a poco stanno affrontando temi più reali e contemporanei. Per esempio la serie Innamorati. La storia è questa: in una notte solitaria, nell’atmosfera indulgente di un bar, avviene l’incontro romantico di una donna sposata, con una carriera di successo, che si innamora di un ragazzo di sei anni più giovane. La sensazione di calore crescente, ma senza speranza, che risultato porterà? C’è poi un altro teleromanzo, su una coppia di origini diverse, che si complica quando la donna ha un lavoro considerato “superiore” a quello dell’uomo, per quanto lui sia un tecnico edile di alto livello, e lei la funzionaria di una casa editrice. Ma lì i valori sono latenti. Nella serie Matrimonio contemporaneo si riferiscono le vicende di una coppia formata da una donna di città e un uomo che arriva dalla campagna. Vivevano in ambienti diversi, e nel matrimonio sorgono molte contraddizioni. In ognuna di queste storie la donna protagonista si scontra con le pressioni della madre perché si sposi presto, quando è giovane; o è alle prese con la decisione di quando avere un figlio, oppure vorrebbe far carriera ma trova difficoltà in amore. Tutto è fiction ma riflette molte realtà che le donne cinesi sentono parte della loro vita quotidiana. La dimensione femminile non resta estranea neppure se ci si muove in ambiente economico. Uno studio di due ricercatrici spagnole, realizzato sul terreno, le porta a queste conclusioni: “Quando si riesce ad entrare nel cuore di una imprenditrice cinese, si osserva che – malgrado tutte le differenze culturali del caso – il suo modo di intendere la relazione di coppia o il concetto di famiglia, la sua costante capacità di lotta, la sua forza interiore, il suo universo sentimentale e la sua carica emotiva sono in genere molto più simili a quelli di tutte le donne occidentali che non a quelli dei loro genitori, mariti, figli, amici o colleghi cinesi. Ciò permette di affermare che le imprenditrici cinesi – al pari delle colleghe occidentali – sono anzitutto e principalmente donne, e solo in secondo luogo sono cinesi e operano nella loro economia come imprenditrici. La Conferenza mondiale delle donne tenuta a Pechino nel 1994 ha avuto una grande importanza nel dare inizio a un cambiamento di valori nel paese; ha reso più ampia l’agenda e ha aperto nuovi spazi per il progresso delle donne verso la liberazione. Era necessario però che passasse una generazione per arrivare al momento in cui le donne nate dopo il 1990 hanno cominciato a parlare con maggior disinvoltura della loro realtà, in buona parte con quella identità chiamata jiulinghou, che agli occhi degli anziani significa giovani egoisti, presuntuosi e senza rispetto. Che sia vero o meno, c’è un dato che spiega molti cambiamenti: in due decenni, l’età media in cui si ha il primo rapporto sessuale è scesa da 24,1 a 17,4 anni. Un reportage del giornale spagnolo “El Pais”, del febbraio 2014, ha raccolto testimonianze interessanti. Eccone alcune: Chen, che non stacca la mano dall’ultimo modello di iPhone, assicura che porta sempre biancheria intima sexy per essere preparata, “non si sa mai”. Alle donne poi si usa attribuire un altro aggettivo: materialista. In molti casi è così. È vero che oggi le ragazze vogliono che il fidanzato disponga di un appartamento e un’auto prima di sposarsi. Guardo alla generazione di mia madre e credo che noi donne mai abbiamo avuto tanta libertà e tante possibilità di crescere in questa società, che è sempre più egualitaria”. Quando parlo con degli stranieri, mi rendo conto che il mondo ha un’idea molto sbagliata delle donne cinesi. Credono che siamo bamboline sottomesse, come nei film del passato, e che facciamo solo ciò che gli uomini ci permettono. Ma non è vero. La donna cinese ha bisogno di maggior potere. Questo sarà un bene per il paese. I casi di corruzione in imprese dirette da noi donne sono molto più rari, e abbiamo una sensibilità speciale per temi cui solo pochi uomini sembrano interessati. Fra i problemi che più ci preoccupano c’è l’inquinamento, che finirà per ammazzarci tutti, e le molestie sessuali, che aumentano per la recente indipendenza delle donne e per gli squilibri di genere. Quali sono le conclusioni quando si guarda il cammino percorso e si proietta la Cina nel futuro? In primo luogo, si può constatare che oggi all’università studiano più ragazze che ragazzi. In secondo luogo, che la donna, anche se ha più libertà e dimostra il suo valore in campo economico, a lavoro uguale riceve retribuzioni minori degli uomini. Terzo, che sulla donna cinese continuano le pressioni tradizionali della famiglia per un matrimonio precoce e la procreazione di un figlio o figlia (ora non si dice che possono essere due). Nell’aprile del 2016 ebbe molto successo sui social, sia in Cina che altrove, un documentario intitolato La presa del mercato matrimoniale: quattro minuti girati da una impresa giapponese, che suscitò molto interesse sia da parte della società cinese che della comunità globale. Si affrontava il dramma delle cosiddette “donne eccedenti” (sheng un), giovani cinesi di 25 anni compiuti e ancora nubili. Le pressioni che soffrono da parte dei genitori e perfino dello Stato, e una società di tipo conservatore provocano in loro dei problemi emotivi e personali. Di fronte alla pressione sociale, molte donne si sentono incomplete per il fatto di non essere sposate, anche quando godono di successi personali. È impressionante vedere come i genitori, delusi per il fatto che la figlia non sia neppure fidanzata, ricorrono a un mercato in cui espongono le foto della ragazza con il suo profilo: l’età, il lavoro, se hanno un’auto, quanto guadagnano, i loro hobbies, cercando di mostrare il profilo migliore. Sono loro i principali promotori di questo “mercato del matrimonio”. Se la figlia non si sposa, i genitori la considerano una mancanza di rispetto nei loro confronti. Ma le ragazze cominciano a reagire e il documentario lo ha riportato: “Non voglio sposarmi solo per sposarmi. Non sarei felice in quel modo”. “Finché non compare la persona giusta che sto aspettando, avranno sempre il mio appoggio”. Una di loro afferma: “Invece del termine “donna eccedente”, io sto facendo un’ottima carriera ed esiste un altro termine che è “donna potente”. Guardando storicamente, si può dire che nazionalismo e femminismo hanno svolto il loro compito. Ma la marcia per la liberazione – certo seguendo una via cinese – non è ancora matura e non ha ancora dato i suoi frutti. Ci sono certo dei progressi importanti. Nel 2011, per la prima volta, il numero di studentesse nelle università ha superato quello degli studenti. Questo ha permesso alla Cina di raggiungere uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite: la scomparsa della discriminazione di genere a tutti i livelli del sistema educativo. Ma manca ancora molto da cambiare per superare le molestie sessuali o l’assenza delle donne nelle alte sfere del potere. E qui risuonano con forza le parole raccolte nel reportage spagnolo sopra citato, di una cantante rock: “Gli uomini cinesi sono molto protetti dalle loro madri, sono pigri e non progrediscono molto. Sono le donne che cambieranno veramente questo paese. Per questo voglio gridare, per spezzare la corazza sociale che ci impedisce di liberare la nostra mente”.