incontro suono colore


Se durante un concerto avessimo la possibilità di osservare l’aria, mentre vibra simultaneamente influenzata dalle voci e dagli strumenti, con grande stupore vedremmo colori organizzarsi e muoversi in essa.” (A. Kircher)
Nella storia della cultura ben pochi fenomeni hanno avuto la capacità di attrarre e coinvolgere artisti, musicisti e, al tempo stesso, scienziati e filosofi come lo è stata la correlazione tra suono e colore. Quando parliamo di questo rapporto ci riferiamo senza volerlo ad un fenomeno chiamato SINESTESIA: dal greco συν-αισθάνομαι: percepire insieme. L’interesse per la sinestesia compare agl’inizi dell’ 800 quando venne inizialmente considerata come un mero espediente poetico o un’invenzione della fantasia. È solo verso gli anni 70/80 dello stesso secolo che attenti studi psicologici legittimarono il fenomeno e furono presto seguiti dall’introduzione della parola “sinestesia”. Dobbiamo tuttavia aspettare il 1980 prima che vengano effettuati studi neurofisiologici su soggetti sinestetici. Questi studi dimostrarono che in concomitanza di esperienze sinestetiche, il cervello attiva contemporaneamente aree sensoriali differenti e le moderne tecniche di neuro immagine funzionale, ne offrono la dimostrazione. Accade perciò che, ad esempio, le zone adibite alla percezione uditiva si attivino contemporaneamente a quelle visive o olfattive, consentendo una sorta di doppia percezione dello stimolo normalmente percepito ed analizzato da un senso solo. Questa attivazione crociata delle aree della corteccia sensoriale, che nella maggior parte di noi sono funzionalmente indipendenti, potrebbe essere basata su un eccesso di connessioni neurali fra aree anatomiche diverse. Esiste qualche conferma che questa iperconnettività sia effettivamente presente nei primati e in altri mammiferi durante il periodo fetale ed alcuni studi sui neonati indicano che i loro sensi non sono ben differenziati, ma mescolati in una confusione sinestetica. Questa cosiddetta confusione viene ad esaurirsi intorno ai tre mesi di età. Con la maturazione corticale compare una più netta separazione dei sensi, il che rende possibile l’appropriata associazione delle diverse percezioni. Si pensa quindi, che negli individui con sinestesia, un’anomalia genetica impedisca la completa cancellazione di questa iperconnettività precoce, così che una parte più o meno cospicua di essa permane in età adulta..

Nonostante il fatto che oggi siamo in grado di definire il fenomeno sinestetico attraverso un preciso protocollo scientifico, fatto di test accurati, ottenuti sia attraverso l’utilizzo di apparecchi tecnologici molto avanzati, sia per mezzo di analisi psicologiche mirate e specifiche, questo concetto suscitò sempre un notevole interesse in ambito artistico. Ricordiamo ad esempio, in ambito poetico, Keats e Schelley, all’inizio dell’ottocento, i quali usavano spesso metafore e immagini intersensoriali, Rimbaud e i poeti simbolisti, alla fine dell’ottocento, i quali accostavano immagini visive ad immagini sonore o a sensazioni di carattere olfattivo. Le ricerche artistiche più interessanti riguardano tuttavia il rapporto tra suono e colore ed i risultati ottenuti in ambito musicale e figurativo. Moltissimi sono stati i pittori che durante tutto il novecento hanno indagato la possibilità di creare relazioni tra queste due forme di espressione. Dall’astrattismo di Klee e di Kandinsky al futurismo di Pratella, Russolo e Carrà, passando attraverso il cubismo di Picasso e Braque, per arrivare, dopo le esperienze Bauhaus, alle avanguardie di metà 900 con l’arte cibernetica di Schoeffer e le opere del regista astratto Fischinger, sono innumerevoli le opere che ricercano profondamente la connessione tra questi due mondi espressivi e, al fine di una corretta comprensione del fenomeno in questione, non meno importanti risultano i loro manifesti artistici. Altrettanto significativi sono stati gli apporti in ambito musicale: Skrjabin, Rimsky-Korsakov, Schoenberg, Webern, Milhaud, Stravinsky, Xenakis.
Cerchiamo di tracciare una linea che ci aiuti a percorrere in modo chiaro il cammino che è stato seguito verso la ricerca di relazioni e metodi per accostare l’arte visiva a quella dei suoni.
L’idea generale che tutto il creato sia permeato da leggi che si ripetono costantemente all’interno dei diversi fenomeni fisici esperibili ha avuto un’importanza considerevole nello sviluppo delle teorie sulla relazione tra suono e colore. Gli antichi Greci furono i primi a costruire una scala di colori divisa in sette parti, in analogia con le sette note della scala musicale e i sette pianeti conosciuti e la teoria aristotelica del colore è stata considerata valida fino al XVII secolo. Il primo pittore nella storia ad occuparsi del rapporto tra suono e colore è stato Giuseppe Arcimboldi. (Pittore (Milano 1527 – ivi 1593). Lavoro dapprima a Milano, poi a Praga, come pittore di corte per gli imperatori Ferdinando I, Massimiliano II e Rodolfo II.) Attraverso il racconto di Don Gregorio Comanini (poeta e storico italiano 1550 – 1609) siamo a conoscenza del lavoro scientifico dell’Arcimboldo. Partendo dal sistema pitagorico delle proporzioni armoniche di toni e semitoni, creò una corrispondente scala di valori cromatici, usando sia il suo senso artistico, sia il metodo scientifico. Il pittore, attraverso la creazione di un’apposita scala di grigi, riuscì a correlare i rapporti tra i gradi della scala musicale e la luminosità dei colori. Con questo sistema riuscì anche a dividere il semitono in due parti uguali, anticipando concettualmente di molto l’arrivo della scala temperata. Scrive Comanini “E quanto io dico del color bianco e del negro insieme, dicolo ancora di tutti gli altri colori; perché, sì come egli è ito pian piano ombreggiando il bianco e riducendolo ad acutezza, così ha fatto del giallo e di tutti gli altri, servendosi del bianco per la parte più bassa, che si ritrovi nel canto, e del verde et insieme dell’azzurro per le parti che son mezzane, e del morello e del tanè per le parti di maggiore altezza; essendo che di questi colori l’uno segue et adombra l’altro, perché il bianco e ombreggiato dal giallo, e ‘l giallo dal verde, e ‘l verde dall’azzuro, e l’azzuro dal morello, e ‘l morello dal tanè, come il basso è seguito dal tenore, e ‘l tenore dall’alto, e l’alto dal canto. Ammaestrato del qual ordine, Mauro Cremonese dalla Viuola, musico dell’imperadore Ridolfo II, trovò sul graviciembalo tutte quelle consonanze che dall’Arcimboldo erano state segnate coi colori sopra una carta.” Con questo racconto Comanini descrive solamente l’inizio della ricerca di Arcimboldo. Il pittore, dal canto suo, non ha lasciato alcuno scritto in merito e quindi possiamo solo ipotizzare che egli intendesse estendere il sistema lungo le linee di una teoria della percezione.

Circa cinquant’anni dopo, Athanasius Kircher elaborò delle complesse tabelle che associano tra loro le note musicali, i colori, l’intensità della luce ed il gradi di luminosità. (Ars magna lucis et umbrae, 1646). Quattro anni più tardi, nell’opera Musurgia universalis, 1650 mise a punto un sistema che gli permise di associare i colori agli intervalli musicali.
Nel XVII secolo, analizzando lo spettro della luce, Newton correlò le note musicali ai colori, attraverso un’analogia diretta tra i fenomeni acustici e quelli ottici, proponendo una stretta corrispondenza tra i sette colori dell’arcobaleno e le sette note della scala musicale. Ad un aumento delle frequenze di oscillazione della luce nello spettro cromatico, dal rosso al violetto, fece corrispondere un aumento delle frequenze di oscillazione del suono nella scala diatonica maggiore. Newton scrisse: “ho trovato che queste osservazioni concordano abbastanza bene con un’altra, e che le rette parallele MG ed FA sono divise dalle suddette linee verticali allo stesso modo delle note musicali. Consideriamo la retta GM in relazione a X, e poniamo che MX sia uguale a GM, quindi consideriamo che le rette GX, λX, ιX, ηX, εX, γX, αX, MX siano tra loro in proporzione come i numeri, 1, 8/9, 5/6, 3/4, 2/3, 3/5, 9/16, 1/2. In questo modo verranno rappresentati l’intervallo di unisono, il tono, la terza minore, la quarta, la quinta, la sesta maggiore, la settima e l’ottava superiore: allo stesso modo gli intervalli Mα, αγ, γε, εη, ηι, ιλ, e λG, indicheranno gli spazi occupati dai rispettivi colori (rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco, violetto)”. Una realizzazione pratica dell’idea di Newton fu intrapresa da Padre Louis-Bertrand Castel, matematico e filosofo francese (1688-1757). Egli era a conoscenza delle teorie dei colori della sua epoca e, a differenza di Newton, sviluppò un sistema di relazioni per cui, ciò che veniva preso in considerazione non erano tanto i rapporti esistenti tra gli intervalli della scala musicale e quelli relativi dei colori prismatici, bensì la diretta corrispondenza tra nota e colore, liberandosi così dei concetti cosmologici e aprendo la strada ad una vera e propria forma d’arte. Padre Castel non era mosso solamente da fattori di tipo speculativo scientifico, ma anche da finalità etiche e pratiche. Da queste premesse nacque l’idea della costruzione di uno strumento in grado di trasformare il suono in colore, non solo per la possibilità di creare una particolare forma d’arte, ma anche per far “vedere” la musica alle persone prive del senso dell’udito. È così che in circa trent’anni, attraverso vari tentativi, costruì diversi modelli di clavicordo colorato “Clavecin Oculaire” o anche “Clavecin pour les yeux, avec l’art de peindre les sons, et toutes sortes de pièces de musique” (Clavicembalo per gli occhi, con l’arte di pitturare i suoni, e ogni sorta di pezzi musicali).
Tale strumento funzionava così: premendo un tasto, in un riquadro sopra al clavicordo apparivano dei piccoli pannelli, che mostravano diversi colori pre-impostati in base a una correlazione tra scala musicale e spettro cromatico. In altri esperimenti Castel propose l’uso di cristalli colorati di differenti dimensioni. Tuttavia la sorgente luminosa disponibile a quei tempi – la candela – non era sufficientemente potente per produrre gli effetti desiderati. Al di là dei risultati tecnici che allora era possibile ottenere, Castel lavorò inizialmente facendo corrispondere i colori dello spettro cromatico alle note della scala diatonica, cominciando dal Violetto per il Do e terminando la scala con il Porpora per il Do acuto.


Successivamente perfezionò il suo sistema e prospettò una gamma di dodici colori corrispondenti ai semitoni compresi nell’ottava: Do-Blu, Do#-Celadon (verde pallido o terra verde di Verona), Re-Verde, Re#-Verde oliva, Mi-Giallo, Fa-Aurora, Fa#-Arancione, Sol-Rosso, Sol#-Cremisi, La-Violetto, La#-Agata (violetto bluastro), Si-Blu viola (blu grigio). Con l’applicazione simultanea di una scala di valori di chiaroscuro, il sistema risulta esteso a più ottave, assicurando il principio della ciclicità (ogni ottava ha gli stessi colori ma via via più chiari). Il lavoro di Castel suscitò l’interesse dei musicisti del tempo, in particolar modo quello di Telemann, il quale ebbe modo di venire in contatto con una versione dello strumento e tradusse in tedesco il Mèmoire del gesuita.
Un diverso aspetto del problema, ossia la relazione tra suono e forma, venne affrontato dal fisico e musicista tedesco Ernst Chladni (1756-1827). Egli fu il primo ad intuire che le vibrazioni sonore interagiscono con la materia al punto da creare delle vere e proprie forme geometriche. Ponendo della sabbia su un supporto metallico o di vetro, di forma rotonda o quadrata, imperniato su uno stelo, e facendo in modo che questo potesse essere messo in vibrazione attraverso l’utilizzo di un arco di violino, riuscì a riprodurre i suoni dandone un’immagine dinamica. Non per niente già Pitagora sosteneva che “la geometria è musica solidificata”. Quando un piatto viene messo in vibrazione non tutto il piatto vibra. I limiti di queste vibrazioni, che sono di volta in volta differenti, sono chiamati nodi e si identificano con le zone in cui le vibrazioni sono assenti. Se della sabbia viene messa in vibrazione su un piatto, essa confluisce nelle zone nodali in cui la vibrazione è assente, liberando così le parti vibranti. Per quanto riguarda i liquidi, in accordo con quanto scoprirà duecento anni più tardi Hans Jenny, accade il contrario: l’acqua si posiziona nelle zone vibranti e non in quelle nodali. Benché il problema di correlare gli arabeschi di Chladni in tempo reale con l’esecuzione musicale fosse allora tecnicamente insormontabile, gli studiosi di estetica del romanticismo tennero in grande considerazione queste figure, e valutazioni entusiastiche furono date da studiosi quali J.W. Goethe e O. de Balzac.
VIDEO “Chladni Plates”
È con Chladni dunque che ha inizio quella che nel 1967, verrà comunemente chiamata Cimatica, ad opera del medico svizzero Hans Jenny. Il termine cimatica indica la teoria che tenta di dimostrare l’effetto morfogenetico delle onde sonore, ossia il processo che, grazie all’energia prodotta dalla forma d’onda, porta allo sviluppo di una determinata struttura. Il nome cimatica è stato coniato dallo stesso Hans Jenny, e deriva dal greco κυματικά che significa “studio riguardante le onde”, da κΰμα, che significa “onda, flutto”. I suoi esperimenti si svolgevano in modo simile a quelli di Chladni. Jenny faceva uso di un oscillatore a cristalli e di un apparecchio di sua invenzione chiamato Tonoscopi.
Questi strumenti consentivano di fare un passo avanti rispetto agli esperimenti di Chladni, in quanto consentivano di determinare esattamente la frequenza, l’ampiezza e il volume delle oscillazioni della membrana utilizzata. Per mezzo del Tonoscopio era possibile trasformare qualsiasi tipo di suono in forme geometriche, compresa la voce umana, in maniera meccanica e senza l’impiego di apparati elettronici. Attraverso di esso era possibile visualizzare le immagini fisiche prodotte dalle vocali e dai suoni.
VIDEO “Tonoscope”
Lo studio dei suoni emessi dalla voce umana lo portarono a scoprire che quando venivano pronunciate le vocali delle vecchie lingue quali l’ebraico ed il sanscrito, il suono assumeva le forme dei simboli scritti di quelle vocali, mentre lo stesso non si poteva dire per le lingue moderne.
Aprendo ora una piccola parentesi possiamo ricordare come quasi tutte le tradizioni cosmogoniche riconducano la creazione dell’universo all’emissione di un suono. Ne sono testimonianza la Bibbia, la tradizione egizia, i Veda, i Rigveda, le Upanishad e persino tradizioni indigene della foresta amazzonica (gli Uitoto), i quali affermano che “All’inizio la Parola diede origine al Padre”. Nelle Upanishad si afferma che dalla sillaba OM (AUM) scaturì l’universo. Ebbene, nelle sue ricerche, Jenny scoprì che il suono del Mantra OM una volta trasformato dal Tonoscopio, veniva a creare lo stesso disegno corrispondente allo Yantra ad esso collegato. (Lo Yantra è la base geometrica che sottostà alla forma di tutte le cose mentre il Mantra è il suono delle cose stesse. Mantra e Yantra, nella tradizione induista, sono strettamente collegati). Lo sviluppo della Cimatica ha oggi portato alla creazione, ad opera degli studiosi John Stuart Reid e Erik Larson, del Cimatoscopio. Si tratta di una versione moderna del vecchio Tonoscopio, in grado di fornire anche immagini tridimensionali delle forme prodotte dai suoni emessi, soprattutto se viene utilizzata l’acqua come mezzo di propagazione del suono. “www.cymascope.com”
Tornando al rapporto tra suono e colore, va sottolineato che, durante il corso del settecento e dell’ottocento, numerosi furono gli strumenti adibiti allo scopo di relazionare le due forme espressive sulla base di quanto già fatto da padre Castel, ma è con l’avvento dell’elettricità che tale fenomeno ebbe un’accelerazione. I due strumenti più famosi sono il “Color Organ” di Bainbridge Bishop ed il “Claviere a lumiere” di Wallace Rimington.

Bainbridge Bishop brevettò il suo Color Organ nel 1877. Sfortunatamente non abbiamo nessuna testimonianza materiale dei suoi strumenti, in quanto sono tutti e tre andati distrutti nel corso di incendi. Tuttavia, una loro descrizione dettagliata ci viene da uno scritto dello stesso Bishop dal titolo: “A Souvenir of the Color Organ, with Some Suggestions in Regard to the Soul of the Rainbow and the Harmony of Light” (1893). Eccone la descrizione dell’autore: “A Souvenir of the Color Organ, with Some Suggestions in Regard to the Soul of the Rainbow and the Harmony of Light” (1893). Eccone la descrizione dell’autore: “Ho costruito una serie di strumenti sperimentali, rimodellandoli e cambiandoli al fine di rendere più chiara l’idea e di ottenere l’effetto migliore. Il più soddisfacente che abbia costruito è formato da una lastra di vetro smerigliato semicircolare del diametro di circa un metro e mezzo, incorniciato come un quadro, e disposto nella parte superiore dello strumento. Su di essa vengono mostrati i colori. Lo strumento è dotato di piccole finestre con differenti vetrini colorati ed ogni finestra è dotata di un otturatore e costruita in modo che, premendo un tasto dell’organo, l’otturatore si apra e mostri il colore della sua luce. Questa luce, diffusa e riflessa su uno schermo bianco dietro la lastra di vetro smerigliato ed in parte anche sul vetro stesso, produceva un colore sfumato sulla tinta neutra del vetro”… “ho posizionato lo strumento davanti ad una finestra illuminata dal sole, ma si può usare anche una luce elettrica posta dietro. Anche Wallace Rimington costruì uno strumento simile a quello di Bishop, con il pregio di essere in grado di produrre una luce molto più intensa grazie all’uso dell’energia elettrica. Altri sono stati gli strumenti costruiti nel corso dell’ottocento, tuttavia, sebbene i loro costruttori utilizzassero gli strumenti tecnologici che la propria epoca poteva fornire, migliorando così, di volta in volta, le prestazioni degli strumenti stessi, più o meno tutti hanno seguito la linea tracciata inizialmente da Castel. Potremmo dire che cambiano la forma e il modo ma non la sostanza. In Europa, alle soglie del novecento, cominciarono a fiorire esperimenti e riflessioni teoriche non solo da parte di musicisti che cercavano di trasformare il suono in colore attraverso l’utilizzo della luce, ma anche, in direzione opposta, da parte dei pittori che volevano conquistare, nei loro quadri, quella dimensione temporale tipica della musica. Ad emblema di quanto stiamo dicendo, su tutti, possiamo considerare il lavoro artistico di Skrjabin e di Shoenberg, dal punto di vista della musica che si muove in direzione del colore e quello di Kandinsky e di Klee per quanto riguarda il movimento pittorico che si muove in direzione della musica. Non possiamo cominciare a parlare di questo periodo storico e delle idee che lo hanno permeato senza considerare l’ambiente culturale che, a quei tempi si stava delineando e, soprattutto, senza prendere in considerazione l’influenza che ebbero sugli artisti dell’epoca le idee di Madame Blavatsky (1831-1891), fondatrice della Società Teosofica, e successivamente quelle di Rudolf Steiner (1861-1925) padre dell’Antroposofia. Nonostante questa non sia la sede appropriata per dilungarsi in argomenti di carattere mistico-filosofico come questi, cerchiamo di dare alcuni piccoli spunti per un eventuale approfondimento personale della questione:
– M.Blavwtsky sostiene l’importanza del simbolismo, del numero e delle figure geometriche risalendo fino a Pitagora;
– La geometria e l’astrattismo entrano prepotentemente nella pratica dell’arte figurativa; Malevic e Mondrian sono coloro che più di tutti trattano la geometria in modo rigoroso, ma anche Kupka e Delaunay utilizzano moltissime forme circolari, anche se non così rigorosamente definite come quelle dei loro colleghi suprematisti;
– il triangolo è simbolo del divino, il quadrato è simbolo della terra, la piramide è simbolo di unione tra spirito e materia e quindi è portatrice di vita;
– anche la croce ha lo stesso significato, in quanto sintesi di verticale ed orizzontale, maschile e femminile;
– il cerchio considerato forma perfetta della filosofia platonica è la figura più spirituale.
– Kandinsky in “Punto, linea e superficie” teorizza l’associazione tra forme geometriche e colori, assegnando al giallo la forma geometrica del triangolo, al rosso quella del quadrato e al blu il cerchio;
– R. Steiner, in una conferenza tenuta a Lipsia il 10 Novembre 1906, parlando del cammino iniziatico, dice: “…così l’uomo può vedere nel mondo astrale come dalle cose si distacchi una qualità. Il discepolo progredito scopre di risvegliarsi nel sonno in uno straordinario mondo. Colori ondeggiano uno nell’altro, e da questo mare di colori l’uomo può ancora innalzarsi. Vede scaturire forme che non hanno origine da questo nostro mondo. Più tardi percepisce quelle immagini colorate nella realtà, accanto alle altre cose… Poi vi è qualcosa di più alto: dall’immagine colorata parla il suono. In quel momento l’uomo ha raggiunto il devacian, si trova nel vero mondo spirituale… Nel mondo astrale tutto parla attraverso il colore e la luce. Quindi da tale mondo di colori risuona, prima piano e poi sempre più forte, un mondo di suoni. Quando l’uomo vi arriva sperimenta lo spirito del mondo; viene ad intendere che cosa sperimentano i grandi spiriti quando, come Pitagora, parlano di musica delle sfere.”
– Forse in questo senso possiamo capire le parole di Kandinsky quando parla di “principio della necessità interiore” e di “efficace contatto con l’anima”.
In questo periodo si intravede dunque la necessità dell’arte non solo di rappresentare l’ordine cosmico, ma anche di crearne uno parallelo che si inserisca nella catena della creazione, utilizzando le stesse leggi che lo governano. Di qui nasce quell’atteggiamento mistico-religioso che in genere si riscontra nelle opere che ricercano una particolare corrispondenza tra musica e pittura, soprattutto in relazione ai titoli delle opere ed ai simboli in esse utilizzati. Le idee pitagoriche, il neoplatonismo e le sincretiche idee etico-religiose del movimento teosofico e di quello antroposofico, portano alla necessità da parte degli artisti di scoprire l’essenza divina del mondo, fondata sul numero e sull’armonia. Questo mondo è tuttavia accessibile solamente ad una piccola parte dell’umanità: l’iniziato; e l’artista viene a configurarsi come tale.
È in questo contesto che vengono a collocarsi le opere di Skrjabin quali il Prometeo, il Poema dell’estasi ed il non compiuto Mysterium. Tutte opere, queste, che mirano ad una sintesi totale delle arti, proprio per far sì che la pienezza del mondo spirituale, ai più nascosto, possa rivelarsi attraverso l’utilizzo della totalità dei sensi: un’arte totalmente coinvolgente, capace di portare all’estasi e all’uscita da se stessi.
Un evento storico nell’arte dei suoni e dei colori fu la prima sinfonia colorata “Prometheus – Poema della fiamma”, di A.Skriabin (1910). Questa è la copertina della partitura: un dipinto di Jean Delville, suo amico belga, pittore e seguace della Teosofia. Vediamo in essa il volto di Prometeo con una fiamma in mezzo agli occhi. Prometeo è colui che ha rubato a Zeus i semi del fuoco, simbolo dello spirito, per darli agli uomini. Il mito di Prometeo costituisce un momento evolutivo importante nella storia della creazione: l’acquisizione da parte dell’uomo della coscienza. Prometeo è il pre-veggente (e forse per questo porta la fiamma in mezzo agli occhi, nel luogo in cui si trova il sesto chacra, quello della chiaroveggenza), è colui che rubando il fuoco agli dei consente all’uomo di progredire da solo, svincolandosi dal divino, ma perciò stesso legandosi indissolubilmente alla terra. Forse non è imprudente pensare che Skrjabin vedesse nella sua opera il nuovo atto prometeico che consentiva all’uomo di percepire nuovamente la realtà del mondo metafisico, fatta di suoni e colori, il devacian, pur non avendone sviluppato i sensi. Prometeo è al centro della lira (simbolo e strumento dell’armonia cosmica) che collega attraverso le sue sette corde (simbolo dei pianeti) il sole (elemento divino per eccellenza) con la terra (dimora dell’umanità). Alla base della lira si trova il simbolo della società teosofica.

La stella a sei punte, “Sigillo di Salomone” o “Stella di David”, rappresenta, nel pensiero teosofico, il triplice aspetto divino nella sua duplice manifestazione. Il triangolo bianco con il vertice verso l’alto rappresenta lo spirito o la coscienza. È inoltre simbolo della trinità: nel Cristianesimo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; nell’Induismo Brahma, Shiva e Vishnu; Horus, Iside e Osiride nella religione egizia. Il triangolo equilatero con il vertice in basso (nero), riflesso del precedente, rappresenta la discesa del divino nella materia. Il fatto che i due triangoli siano interlacciati sta a significare l’interdipendenza tra spirito e materia: l’uno non può esistere senza l’altro. Infine c’è un serpente che si morde la coda. Rappresenta il ciclo della natura, è il simbolo dell’eternità, il principio e la fine, l’Alfa e l’Omega, la causa e l’effetto.
Aspetto di fondamentale importanza nella nostra analisi è il fatto che, all’interno della partitura del Prometeo, il primo rigo è dedicato espressamente al colore. Con il termine Luce viene indicato lo strumento che dovrà suonare o giocare con la musica attraverso un vero e proprio contrappunto colorato. Il proposito di Skrjabin non era quello di illustrare il suono e tradurlo in colore, quanto piuttosto di utilizzare entrambi i mezzi per arricchire l’informazione estetica intensificando l’impatto artistico. “Nel Prometheus ho inizialmente cercato una sorta di parallelismo, che rafforzasse gli effetti sonori attraverso delle impressioni di luce, ma ora questo non mi basta più! I contrappunti di luce sono per me ora assolutamente necessari. La luce procede in accordo con la sua melodia, e il suono allo stesso modo. […] Si verifica anche questa possibilità: la linea melodica parte in una forma artistica ma finisce in un’altra, quasi configurando un’orchestrazione in cui un tema arieggiato ad esempio dal clarinetto può essere ripreso e concluso dai violini.[…] Così la melodia può partire dai suoni ma continuare in una sinfonia di linee luminose.” Inoltre Skrjabin non si limita ad associare ogni nota o tonalità ad un preciso colore (seguendo in parte le sue percezioni sinestetiche e in parte associando il circolo delle quinte alla variazione cromatica dei colori all’interno dello spettro) ma anche affianca ad esse un particolare sentimento:
Do Rosso Volontà / Sol Arancione Gioco creativo
Re Giallo Gioia / La Verde Materia
Mi Azzurro Chiaro Sogno / Si Blu o Blu Perlaceo Contemplazione
Fa # Blu Lucente o Viola Creatività / Re b Viola Volontà (dello Spirito Creatore)
La b Lilla Movimento dello Spirito nella materia / Mi b Grigio Acciaio Umanità
Si b Rosa o Bagliore Metallico Avidità (desiderio smodato) o entusiasmo
Fa Rosso Scuro Differenziazione della Volontà
Il compositore immaginò che durante l’esecuzione della sinfonia tutto lo spazio intorno al pubblico fosse invaso dal colore. Egli tuttavia non fornì indicazioni su come realizzare la sua opera. Si sa che Skrjabin pensò di commissionare la costruzione di un apposito strumento ad Aleksandr Mozer, fotografo e insegnante di elettromeccanica alla Scuola di Istruzione Tecnica Superiore di Mosca; (Foto)Mozer mise a punto un apparecchio costituito di 12 lampadine colorate poste circolarmente su un supporto di legno, che si accendevano con dei pulsanti; lo strumento però fu terminato solamente alcuni mesi dopo della prima esecuzione del Prometeo (15 marzo 1911) che risultò quindi privata di una sua componente fondamentale. Un altro artista su cui vale la pena soffermarci al fine di considerare la sua opera artistica ed il suo apporto allo sviluppo del rapporto tra suono e colore è Thomas Wilfred. Nato in Danimarca con il nome di Richard Edgar Løvstrom nel 1889 e morto a New York nel 1968 è soprattutto conosciuto per la sua Musica Visuale, da lui chiamata Lumia e per il suo organo colorato chiamato Clavilux. Wilfried cominciò sin da giovanissimo ad esporre nello studio del padre, un fotografo. Studiò poesia e pittura a Parigi e, come suonatore di liuto trovò fortuna girando sia l’Europa che l’America. Intorno al 1905 cominciò i suoi esperimenti con pezzi di vetro colorato e sorgenti di luce. Dopo essersi trasferito a New York, nel 1919 insieme all’architetto americano Claude Fayette Bragdon fondò un gruppo teosofico chiamato Prometheans. Questo movimento artistico era dedito alla ricerca spirituale attraverso le moderne espressioni artistiche. Coniando il termine Lumia egli fu il primo a parlare della luce come vera e propria forma d’arte, “un’ottava arte” capace di esistere e di esprimersi senza il bisogno di altri mezzi espressivi che la affiancassero. Per questo descrisse le sue opere come arte silenziosa. Wilfred fu il primo ad usare la luce in modo puramente astratto ma, successivamente, decise di inserire come elementi fondamentali anche la forma ed il movimento. Ottenne questi effetti grazie all’inserimento di filtri che gli permettessero di proiettare delle forme geometriche in movimento su di uno schermo.
Il più famoso dei suoi strumenti per la produzione della musica colorata fu il Clavilux, sviluppato nel 1922 al costo di 16.000$. Il clavilux fu presentato al pubblico dopo ben 10 anni di sperimentazione. Il più importante strumento di Wilfried impiegava ben sei proiettori controllati da un banco “tastiera” fatto di potenziometri. Un elaborato meccanismo di prismi poteva inclinarsi o ruotare su qualsiasi piano intorno ad ogni fonte di luce. L’intensità della luce variava attraverso sei reostati azionati manualmente. La selezione delle forme geometriche, invece, dipendeva da un ingegnoso sistema di dischi controbilanciati. Sebbene la maggior parte degli spettacoli di Wilfred si presentasse in completo silenzio, egli prese parte anche a collaborazioni in cui la musica veniva interpretata attraverso la luce colorata. Per esempio, nel 1926, collaborò alla presentazione di Scheherazade di Rimsky-Korsakov con l’orchestra di Philadelphia diretta da Leopold Stokowski.
VIDEO: “Lumia Composition op.147”
Nel novecento la storia del rapporto suono-colore si sviluppa in diverse direzioni. Gli artisti cercano di creare ponti tra questi due poli attraverso linguaggi espressivi differenti e ognuno con i mezzi che gli sono propri. Una parte delle ricerche artistiche si sviluppa in modo tradizionale, attraverso l’utilizzo della pittura. In questo contesto operano le correnti dell’astrattismo, del futurismo, del cubismo e dell’orfismo. L’obiettivo di questi movimenti è anzitutto quello di liberare la pittura dai mezzi espressivi tradizionali per creare un linguaggio che le appartenesse totalmente. (Foto) Kandinsky e Kojev, rispettivamente in “Lo spirituale nell’arte” e “Le pitture concrete di Kandinsky”, promuovono un tipo di pittura in grado di emettere suoni propri attraverso il solo utilizzo del segno, delle forme e dei colori, liberi da qualsiasi vincolo figurativo e carichi di energia interiore. L’utilizzo di quella che Kandinsky chiama grammatica pittorica sarà il mezzo attraverso il quale la pittura potrà emanciparsi dalla natura. Altro elemento fondamentale è l’appropriazione da parte della pittura della dimensione temporale e del dinamismo propri della musica. (Foto) In questa direzione, enorme è stato l’apporto elaborato dai futuristi. (foto) Infine va ricordata l’influenza del wagnerismo e l’interesse per la riscoperta di Bach e dell’ ”Arte della fuga” da parte dei pittori cubisti (Picasso e Braque), dell’orfismo francese (Delaunay, Kupka e Picabia) e dei pittori che gravitavano intorno al Blaue Reiter. Ad ogni modo va considerato che, per gli artisti, la pittura non può mai essere considerata, nelle intenzioni e nei risultati, la traduzione integrale di un’idea musicale e viceversa. In alcuni casi si potrà arrivare a stabilire delle analogie all’interno dei processi immaginativi, come ad esempio accade tra Schoenberg e Kandinsky o tra i cubisti e la polifonia, ma il tutto resta al di là di una vera e propria traduzione. In direzione opposta hanno lavorato molti musicisti tra i quali il già citato Skrjabin, Schoenberg, Rimsky-Korsakov, Webern, Milhaud, Stravinsky e Xenakis. Tuttavia, come fa notare Pierre Boulez nel libro “Il paese fertile”, nessun musicista ha legato il proprio pensiero ed il proprio lavoro alla pittura, in modo profondo e con carattere di evidente necessità. Infine ci sono stati artisti che hanno diretto la loro attenzione verso l’utilizzo della luce come strumento d’elezione per poter interagire con la musica. L’utilizzo della luce, la possibilità di sovrapporre forme e colori in modo sempre nuovo e diverso, la possibilità di imprimere a questi elementi il movimento grazie all’utilizzo degli strumenti per la proiezione delle immagini, tutto questo ha contribuito in modo fondamentale a superare le difficoltà intrinseche della pittura di esprimere non tanto dei concetti legati alla musica, quanto la capacità della musica stessa di trasformarsi continuamente in un dato lasso di tempo. D’ora in poi la storia della musica visuale viene fatta in gran parte dal cinema o dall’utilizzo dei mezzi cinematografici in chiave musicale. Molti sono stati gli artisti che sono passati dalla pittura all’arte cinematografica e coloro che tra i primi si sono cimentati in questo campo sono: Waler Ruttmann e Oskar Fischinger. Con loro entriamo appieno nel campo di quello che viene comunemente chiamato Absolute Film o Pure Film o Integral Film, ossia un film che utilizza solamente elementi propri del modo di fare cinema, senza alcun riferimento ad altro che si trovi al di fuori del cinema stesso. Proprio come la musica era capace di esprimersi attraverso elementi che le sono propri – armonia, melodia, ritmo, contrappunto – così doveva accadere per il film assoluto, riprendendo in un certo senso le prerogative della pittura astratta esposte da Kandinsky. E la cosa più importante che il cinema assoluto potesse presentare in uno spettacolo visuale comparabile a quello musicale era l’utilizzo di immagini fluide e dinamiche, ritmicamente accostate tramite un accurato lavoro di editing, dissoluzione delle immagini, sovrapposizione, divisione dello schermo, contrasto tra immagini in positivo e in negativo, colorazione ambientale ed altri effetti puramente cinematografici.

Walter Ruttmann è stato il primo regista a terminare un film integrale nonché a distribuirlo in una sala cinematografica. Pittore e musicista per formazione, Ruttmann rinunciò alla pittura astratta nel 1919, dichiarando che il cinema sarebbe diventata l’arte del futuro. Una volta diventato padrone delle tecniche cinematografiche, presentò il suo primo film astratto (Opus I), realizzato attraverso un pittura fatta direttamente sulla pellicola con l’aggiunta di figure animate. Questo significa che ogni singola scena doveva essere dipinta separatamente, partendo da frammenti di negativo in bianco e nero, ed ogni parte del film doveva poi essere assemblata partendo da centinaia di frammenti. Max Butting compose la musica per questa pellicola e Ruttmann suonò personalmente il violoncello con il quartetto che accompagnò la proiezione della pellicola in giro per la Germania nella primavera del 1921. L’unica copia sopravvissuta di Opus I è incompleta, ma è possibile tuttavia ricostruire il film nelle zone mancanti poiché Ruttmann disegnò delle figure colorate direttamente sulla partitura, con precise indicazioni di ripetizioni e cambi di colore, al fine di una corretta sincronizzazione da parte dei musicisti.
VIDEO: “Walter Ruttmann: Opus I”
Oskar Fischinger era presente alla prima di Opus I a Francoforte. È qui che decise di dedicarsi interamente alla realizzazione di un altrettanto valida Musica Visuale, ma evitando accuratamente di utilizzare la stessa tecnica delle immagini dipinte, così ben padroneggiata da Ruttmann. Fischinger cominciò il proprio lavoro facendo esperimenti con la cera tagliata, immagini di argilla, modellini, figurine e qualche disegno animato.
VIDEO: “Wax Experiments (excerpt) by Oskar Fischinger”
Molti dei primi film di Fischinger sono collegati a degli spettacoli con proiezioni multiple creati per i concerti di musica colorata del pianista e compositore ungaro americano Alexander Laszlo. A partire dal 1924 Laszlo sviluppò ciò che chiamò “Color-Light-Music”, che prevedeva l’utilizzo di un Organo colorato, il Sonchromatoscope, che controllava diversi proiettori di diapositive, e dei fari con filtri colorati intercambiabili e con possibilità di sfumare il colore. Durante il suo primo tour tenuto nel 1925, Laszlo usò solamente delle diapositive dipinte, ma la critica lo etichettò come semplicistico e banale se paragonato alla musica suonata. È così che decise di ingaggiare Fischinger per preparare degli spettacoli animati da inserire all’interno delle sue performance di musica colorata. Per lo spettacolo Fischinger predispose tre proiettori, tutti dotati di elementi colorati, più altri due da sovrapporre ai primi tre, in una sorta di climax continuo, dotati di immagini simili, al fine di creare un più complesso gioco di colori e forme. Le riviste specializzate cambiarono così opinione riguardo alla musica colorata di Laszlo, ma no furono altrettanto magnanimi nei confronti di Fschinger, il quale interruppe così il proprio rapporto di collaborazione con Laszlo e si spostò a lavorare in proprio a Monaco. Nello stesso momento in cui Lazslo e Fischinger tenevano il loro tour in Europa, ebbe luogo presso il Ufa Cinema di Kurfürstendamm (Berlino) lo storico Absolute Film Show. Qui, Ludwig Hirschfeld-Mack, proveniente dal Bauhaus presentò la sua “Sonatina colorata tripartita” per il suo “Reflectorial Color-Play”, un grande organo colorato che richiedeva la collaborazione di molte persone per essere suonato. Sulla base di un dettagliato spartito, venivano fatti ruotare dei pannelli colorati con incollate delle forme in grado di combinarsi le une con le altre e di colorarsi differentemente a seconda della luce che veniva proiettata su di esse. Questo dimostra ancora una volta come il mondo del cinema astratto fosse strettamente collegato con gli spettacoli di musica colorata. Oskar Fischinger, tra il 1930 e il 1932, a Berlino, ottenne il successo attraverso una serie di 16 cortometraggi chiamati “Studi”, tutti sincronizzati con la musica eccetto uno. Nei suoi Studi egli utilizzò ad esempio “Sorcerer’s Apprentice” di P. Dukas e le “Danze ungheresi n°5 e 6” J. Brahms. Quando poi nel 1936 si spostò in America riuscì ad ottenere risultati fino ad allora mai raggiunti nel campo della musica colorata. Durante questo periodo produsse anche lavori come “An Optical Poem” (1937) sulla “Rhapsodia ungherese n°2” di F. Liszt e altri film come “Motion Painting n°1” (1949) sul “Concerto Brandeburghese n° 3” di J.S. Bach.
VIDEO: “Study n.7 by Oskar Fischinger”
VIDEO: “An optical poem by Oskar Fischinger”
L’arrivo di Fischinger in America e la divulgazione dei suoi lavori divennero fonte di ispirazione per una seconda generazione di artisti. I giovani fratelli John Whitney, musicista, e James Whitney, pittore, decisero di intraprendere la carriera di animatori astratti in seguito alla visione dei film di Fischinger presso la Stendhal Gallery nel 1939. Inizialmente gli Whitney utilizzarono gli stessi strumenti di Fischinger nei loro film. Successivamente, però, mentre John si avventurò nella dimensione della computer graphics, James rimase fedele al lavoro artigianale, cominciando una serie di lavori orientati verso il misticismo e la spiritualità orientali: (Yantra 1955, Lapis 1963, Wu Ming 1976, Kang Jing Xiang 1982).
VIDEO: “Yantra by James Whitney”
Nel 1946, all’ “Art In Cinema Festival” in San Francisco, Fischinger incontrò i due pittori, Jordan Belson e Harry Smith, anch’essi da lui ispirati e passati poi al cinema astratto. I primi film di Smith erano direttamente dipinti sulla pellicola ed erano suonati dal vivo da jezzisti in una sorta di light-show. I film di Belson, invece, erano fatti a mano. Nel 1957 diventò il curatore dei Vortex Concerts presso il planetario di San Francisco dove ebbe l’opportunità di coreografare visualmente la nuova musica elettronica, usando film sia suoi che di James Whitney. Gli effetti speciali di queste performance e l’esperienza dei concerti di musica silenziosa di Wilfred visti a New York portarono Belson al rifiutare le sue prime esperienze cinematografiche e lo condussero a produrre decine di film fatti a mano, nei quali erano presenti immagini misteriose, spesso nebulose, e magnificamente controllate attraverso lo sviluppo di colori lussureggianti, raggiungendo delle vette altissime nel campo dell’arte cinematografica astratta, oltre a denotare una certa dose di spiritualità illuminata.
VIDEO: “Jordan Belson”
Il filone della Musica Colorata continua fino ad oggi con artisti che lavorano attraverso diversi tipi di media, da Sara Petty con i disegni tradizionali, alla computer graphics di Larry Cuba e di David Brody. Le parole dell’animatore astratto Robert Darroll, dette durante un’intervista riguardante gli artisti che operano nel campo della Musica Colorata: “non sono interessato ai film che si occupano di letteratura visuale, o che cercano di comunicare quelle stesse informazioni che si possono meglio esprimere a parole. Mi interessano invece quei film che, attraverso un processo visivo, possono evocare per mezzo della consapevolezza fisica anche la consapevolezza metafisica. Durante un’attenta percezione, ogni area pittorica diventa un sistema chiuso che indica la possibilità di vedere, di fare esperienza e di capire la via attraverso la quale le cose esistono. Per capire cosa sta succedendo mentre una cosa accade e non per fare esperienza di una cosa che è già stata capita”. Articolo:Marco De Biasi. Video: “Eric Lindll: Tribute to O. Fischinger”
.