Gli Hunza il popolo che vive in media 140 anni


Esiste un popolo i cui abitanti vivono in media tra i 130 ed i 140 anni, le donne partoriscono anche a 90 anni, le persone lavorano anche se ultra-centenarie, i neonati vengono affidati ai bambini che li caricano sulle spalle per seguire i parenti più anziani che lavorano la terra. Una terra impervia, fatta di strapiombi, in cui gli Hunza sono riusciti a praticare un’agricoltura di sussistenza nonostante la superficie coltivabile sia poco irrigabile. Questi uomini non conoscono il cancro e anche tutta una serie di malattie. Sono veri, sono reali: sono gli Hunza, il popolo più longevo e misterioso al mondo. Si tratta di una comunità di appena 10 mila anime che abita la valle omonima segnata dal fiume Hunza, alle pendici dell’Himalaya. La valle Hunza prende il nome del fiume che bagna un territorio situato a 2438 metri d’altezza, vicino alle valli di Gilgit e Nagar, non distanti dai territori del Nord del Pakistan confinanti con la Cina. In questa valle abitano anche altre due tribù: i wakhi e gli shina. I primi abitano la parte superiore della valle Hunza, più precisamente una località chiamata Gojal oltre ad alcune regioni della Cina, Tagikistan e Afghanistan. Gli shina invece popolano la parte meridionale della valle, oltre ad altri territori pakistani di lingua shina come il Chilas e il Gilgit. Ma la comunità che ha attirato l’interesse degli studiosi è chiamata “buruscio-hunza” (o brusci) ed abita territori situati molto al di sopra della valle, pieni di burroni e intervallati da veri e propri Canyon in cui si trovano circa 150 villaggi. Esistono anche 300 buruscio a Srinagar, India. Questa è una delle motivazioni per cui gli Hunza non mangiano molta carne: non potrebbero far pascolare le mandrie in quanto il terreno coltivabile di cui dispongono è poco irrigabile e quindi devono destinarlo all’agricoltura di sussistenza. La carne tuttavia, anche se occasionale non è mai assente nella loro dieta e si tratta di carne di pecora o di gallina. La loro origine è un vero e proprio mistero: non si sa come siano giunti ad abitare quelle alture, l’unica cosa certa è che questo popolo attira su di sé l’interesse degli studiosi da circa due secoli. Un’antica leggenda locale, ma diffusa anche in Afganistan, vede la comunità dei brusci discendente di un soldato di Alessandro Magno. Tuttavia i geni balcanici sono stati ritrovati solo nella comunità dei pashtun afgani e non tra i burusci che, invece, alle analisi genetiche, sembrano avere molti geni dell’Est Asiatico e fanno supporre che almeno uno dei loro antenati provenisse proprio dal Nord dell’Himalaya. Nonostante le analisi genetiche non vedano la comunità dei burusci originaria della macedonia, questi sono chiamati “il popolo greco dell’Asia” e nel 2008, il loro principe Ghazanfar Ali Khan e la principessa Rani Atiqa, considerati discendenti di Alessandro Magno, furono invitati presso l’Istituto Macedone per le Ricerche Strategiche “16.9″. Il principato di Hunza e il loro re, il “Mir” è stato destituito il 25 settembre del 1974, giorno in cui lo Stato di Hunza ha smesso di essere un principato.

LINGUA E RELIGIONE – La religione Hunza è tipicamente musulmana ismaelita e questo è l’unico punto in comune con altre popolazioni. Ma a differenza di tutti gli altri, gli Hunza non hanno alcun interesse a mostrare la propria religione che è vissuta intimamente: non hanno templi, liturgie, né preghiere. Partecipano solo a rituali propiziatori per l’agricoltura. Nonostante sia una popolazione molto rudimentale, il loro grado di alfabetizzazione è elevatissimo rispetto ad altre popolazioni pakistane da cui si differenziano moltissimo anche sulla base della lingua parlata dalla comunità: il “burushaski” che non è in connessione con nessun’altra lingua al mondo. Secondo il linguista Lorimer, la loro lingua si è evoluta spontaneamente ed è come se fosse stata messa in uno stato di quarantena per circa 5 mila anni, al punto che la ricostruzione di un vocabolario di base è stata così ardua da non essere mai ultimata. Il linguista Lorimer affermò che 15 mesi di permanenza sarebbero stati davvero pochi e che un’impresa del genere avrebbe necessitato una permanenza sul posto di almeno 10 anni.

L’INTERESSE SCIENTIFICO – Negli anni ’50 Mec Carrison, un medico scozzese, accettò il posto di medico nelle Indie Britanniche proprio perché aveva sentito parlare di questa incredibile popolazione. Lo scopo di Carrison era inizialmente quello di studiarne le malattie, ma poi finì con il constatare che i buruscio hunza non avevano malattie. Qualche bronchite poteva capitare, qualche frattura dovuta agli arrampicanti in montagna, a volte qualche infiammazione dovuta al fumo che respiravano dinanzi al fuoco nei mesi invernali ma non avevano alcuna patologia cardiovascolare, non si riscontravano nefropatie, epatopatie. Non c’era nulla di clinicamente interessante. Mec Carrison finì quindi per studiarne gli stili di vita e, con suo incredibile stupore, scoprì che il popolo che arrivava a vivere anche 140 anni nascondeva il proprio segreto nell’alimentazione che ne rallentava l’invecchiamento cellulare. Le donne avevano le mestruazioni anche in quella che noi consideriamo “la terza età” e la maggior parte di queste donne cessava di riprodursi all’età di 90 anni. Negli anni ’70 la popolazione hunza attirò su di sé l’attenzione di un altro grande studioso Ralph Bircher, autore del libro “Gli hunza, un popolo che ignorava la malattia” pubblicato in tutto il mondo. Bircher notò che gli hunza svolgevano lavori pesantissimi pur assumendo meno di 2000 calorie al giorno e indossavano anche capi non adatti al clima invernale. Praticavano, come alcuni animali, il semidigiuno stagionale; l’efficienza fisica permaneva fino a tarda età e, soprattutto, non si verificava in vecchiaia alcun abbassamento di vista o udito. Bircher come Mec Carrison individuò la causa nel loro stile di vita: dieta quasi vegetariana associata al semi-digiuno stagionale, cibi assunti quotidianamente a piccole dosi, l’esercizio fisico e l’altitudine favorivano il rallentamento dell’invecchiamento cellulare. Oggi sappiamo infatti che le altitudini stimolano nell’uomo la produzione di globuli rossi che contribuiscono all’ossigenazione delle cellule. Questo consentiva agli hunza di vivere una vita che superava quasi regolarmente i 120 anni e non era difficile trovare tra quelle 10 mila anime, anche qualcuno che avesse superato i 140 anni. E’ anche vero che nella valle Hunza non esistevano registri delle nascite, di fatto parliamo di un popolo molto rudimentale, ma non per questo incapace di portare il conto degli anni. Anche loro hanno infatti delle ricorrenze, come il solstizio d’inverno in cui festeggiano in segno propiziatorio esattamente come fanno a fine marzo per assicurarsi fertilità e grande raccolto. Questo significa che il loro calendario è uguale al nostro.

COME VIVONO – La loro vita è caratterizzata da un grande movimento che loro affrontano senza troppi problemi. Si alzano all’alba e lavorano fino al tramonto nella natura senza stancarsi. Percorrono anche decine di chilometri, arrampicandosi sulle montagne e cercando qualche posto fertile per la coltivazione. L’aria è purissima, l’acqua anche e, soprattutto, è alcalina. Appena nasce un neonato questo viene allattato dalla madre fino ai 3 anni ed ogni giorno viene affidato ad altri bambini che lo caricano sulle spalle e si arrampicano sulle montagne con altri membri della comunità, alla ricerca di territori coltivabili. Gli Hunza applicano per forza quello che è definito “digiuno terapeutico”, praticato anche dagli animali. Questa popolazione infatti affronta una vera e propria “primavera della carestia” in cui vive due mesi di semidigiuno, mangiando frutta secca delle riserve accumulate in circa 8 mesi dell’anno, per poi attraversare qualche settimana di digiuno completo in cui i membri hunza si nutrono essenzialmente con acqua. Se un mese di digiuno può sembrare troppo, bisogna dire che digiunare con l’acqua che scorre nella Valle Hunza è decisamente molto più facile. L’acqua alcalina possiede moltissime proprietà nutritive e terapeutiche. Contiene una grandissima quantità di antiossidanti colloidali e sali minerali e influisce inevitabilmente sul PH del sangue da cui, secondo la letteratura scientifica, dipende anche la formazione di molti tumori.

Old man with hennaed beard, near Kalam, Swat Valley, Pakistan, Asia

COSA MANGIANO – La dieta degli Hunza si basa essenzialmente sui cereali, frutta e verdura. La loro alimentazione varia tra i cereali e la verdura da orto. Come spiegato, la loro è una vera e propria agricoltura di sussistenza e il loro più grande patrimonio è costituito dai “mesas“, i terrazzamenti coltivabili. Tra gli alimenti consumati con più frequenza abbiamo i cereali: orzo, miglio, grano saraceno e grano con cui producono un particolare pane azzimo. Assumono in misura inferiore i legumi come piselli, fagioli, lenticchie, fave e ceci. Il mais lo mangiano molto raramente. Per quanto riguarda le verdure ed ortaggi, gli hunza mangiano patate, carote, zucche, cavoli, cetrioli, melanzane, pomodori, erbe selvatiche ed aromatiche. Di frutta ne mangiano diverse varietà come more, mele, uva, ciliege, prugne, pesche, giuggiole, melagrane, meloni, pere, mandorle, noci. Ma è con le albicocche che gli hunza hanno un rapporto particolare: le seccano anche per l’inverno e producono un particolare olio per uso alimentare e delle lozioni per il viso delle donne che sono famose per avere una pelle compatta e idratata. Nella dieta hunza non mancano i derivati del latte: la ricotta detta quark, il formaggio fresco detto brus, il formaggio da conservare detto rahkpin, il burro è detto malta che ed è un alimento preziosissimo, inoltre abbiamo il latte: Yak.
COSA BEVONO – Oltre a un particolare vino prodotto con uva selvatica e fermentato in casa mediante delle anfore di legno, gli Hunza bevono essenzialmente acqua alcalina, ricca di minerali colloidali e dall’enorme potere antiossidante. L’acidosi metabolica innescata dal digiuno prolungato viene compensata con i nutrienti contenuti nell’acqua alcalina della Valle dell’Hunza e il ph rimane più stabile.

L’INCONTRO CON LE SOCIETA’ INDUSTRIALIZZATE – A partire dagli anni ’80 anche nella Valle dell’Hunza sono arrivati prodotti spazzatura, cibo grasso e proveniente dall’America o dai paesi industrializzati della Cina, questo ha fatto sì che il popolo più longevo al mondo cambiasse in parte i propri stili di vita e la varietà del cibo da assumere. Bircher a differenza di Mec Carrison, ha potuto osservare gli hunza durante il loro declino: perfino su quelle alture sono arrivate le auto e con le auto anche il cibo spazzatura che ha interferito col semidigiuno stagionale e con la qualità del cibo assunto. Soprattutto gli alimenti venivano alterati con zuccheri raffinati e sali sbiancati chimicamente, il pane veniva fatto con farina impoverita di tipo 0. Gli hunza avevano quindi barattato il benessere della società capitalistica con la loro longevità. Ciò ha provocato un drastico abbassamento dell’età media e dello stato di salute di questi individui che comunque vivono a lungo mantenendo alcune tradizioni caratteristiche della propria cultura: oltre al digiuno terapeutico, gli Hunza non mangiano carne e non bevono vino. Anzi, lo fanno, ma solo una volta l’anno (in un periodo vicino al nostro natale). Il vino è fatto essenzialmente in casa e viene lasciato fermentare un anno intero in delle botti di legno tenute nelle loro dimore. La carne invece viene mangiata solo una volta l’anno in quanto per loro è un genere alimentare per le grandi occasioni e assunto solo dopo aver ucciso l’animale. Non a caso il territorio impervio abitato da questa antichissima popolazione non consente il pascolo del bestiame e quindi l’unica carne consumata in rare occasioni è quella di gallina o di pecora. Si tratta di agricoltura e allevamento di sussistenza che contempla ogni genere di cibo che viene però assunto in quantità ridotte.

In molti sono giunti in questa terra per cercare di imbottigliare l’acqua dell’eterna giovinezza ma, per fortuna, almeno questo è rimasto intatto mentre quella popolazione ha cominciato a conoscere i dolci e comodi inganni della società capitalistica. Anche li sono arrivate le bevande industriali, la farina impoverita di tipo 0, il sale sbiancato chimicamente e lo zucchero raffinato. Con queste materie prime il popolo Hunza ha cominciato a conoscere le malattie e, con esse, l’importanza di investire nel settore sanitario: loro infatti non conoscevano carie, tumori, problemi cardiovascolari, loro erano gli uomini più invidiati al mondo, erano il popolo più studiato dell’età coloniale. Gli Hunza erano uomini abituati a vivere fino a 140 anni senza conoscere il cancro, finché non giunse la società capitalistica ad ammazzarli. Presto moriranno anche loro ad 80 anni e qualcuno li convincerà che sono anche vissuti a lungo.