chakra del cuore:la compassione

“Fino a quando il cerchio della compassione non abbraccerà tutti gli esseri viventi, l’uomo non troverà pace per se stesso”. Albert Schweitzer (premio Nobel per la Pace) In sanscrito Anahata significa “non ferito, non colpito, pulito, fresco“. Lo possiamo trovare all’altezza del cuore, nel centro del petto e corrisponde al ganglio nervoso chiamato plesso cardiaco. L’elemento associato al chakra del cuore è l’aria ed infatti governa i processi che sono correlate con questo elemento come la respirazione ed i polmoni. E’ anche responsabile della salute del cuore e del timo. Il simbolo di Anahata è un fiore di loto con dodici petali all’interno del quale ci sono due triangoli che si intersecano e formano una stella a sei punte, conosciuta anche come la stella di David . Il triangolo verso l’alto rappresenta la materia che si eleva mentre quello verso il basso sta a significare invece la discesa dello spirito. Le sei punte di questa stella simboleggiano anche tutti gli altri chakra al centro dei quali si trova quello del cuore. Il colore di questo centro è il verde ed il senso correlato è il tatto. E’ il chakra che è responsabile dell’amore ed è proprio da questo centro che hanno origine sentimenti come il dolore, la gioia, il perdono, la compassione, la sofferenza, la pace interiore e l’amore incondizionato. Nei secoli, la parola compassione prende forma sul concetto di pietà – una pietà che è quasi disprezzo. Eppure la sua radice, il significato originale dei suoi componenti è tanto più nobile, di respiro tanto più ampio. La compassione è la partecipazione alla sofferenza dell’altro. Non un sentimento di pena che va dall’alto in basso. Si parla di una comunione intima e difficilissima con un dolore che non nasce come proprio, ma che se percorsa porta ad un’unità ben più profonda e pura di ogni altro sentimento che leghi gli umani. E’ la manifestazione di un tipo di amore incondizionato che strutturalmente non può chiedere niente in cambio. Ed è la testa di ponte per una comunione autentica non solo di sofferenza, ma anche e soprattutto di gioia vitale. La compassione è un sentimento che innesca una forte emotività che spinge l’individuo verso l’altro in quanto prova pena della sua condizione o del suo stato e vorrebbe far qualcosa per aiutarlo, anche se non sempre ciò è possibile per mille motivi. Come l’empatia è la capacità di sentire l’altro, così la passione è la capacità di commuoversi per l’altro, entrambi questi sentimenti scaturiscono da persone che hanno una elevata sensibilità verso il prossimo, verso gli animali, verso la natura, verso l’ambiente esterno, e se ne preoccupano, se ne prendono cura e si rendono disponibili sempre nei limiti delle loro possibilità pratiche. La compassione è uno stato mentale che invoca l’altruismo e lo fa agire, lo smuove e lo sprona a cercare di cambiare le condizioni dell’altro che si trova in stato di bisogno o disagio. Proprio per questa sua dedizione positiva si contrappone al desiderio di punizione e di vendetta, che sono anch’essi sentimenti rivolti verso gli altri ma di indole negativa in quanto la persona si sente di essere stata vittima di un sopruso o di un abuso di potere. Anche tali sentimenti scaturiscono dal desiderio della giustizia e che il male fatto possa ritornare a colui che l’ha creato in modo che possa imparare dai suoi errori e capire cosa vuol dire subire. Fosse possibile una tale distribuzione della giustizia il mondo intero sarebbe migliore. Nell’immaginario collettivo il termine compassione è spesso affiancato a quello di saggezza, quella maturità dell’uomo, che non sempre dipende dalla sua età e che gli fa prendere una visione più consapevole, calibrata della vita, che lo porta a vivere in armonia piuttosto che in continua lotta. È stato dimostrato come gli individui si muovano spontaneamente verso altro percepiti come simili a se stessi, non solo evochino più compassione ma, a parità di situazione, inducano i soggetti a mettere in atto comportamenti altruistici rispetto a quelli agiti nei confronti di persone diverse (Valdesolo e De Steno, 2011). Sembrerebbe che la sincronia, indotta da una valutazione di somiglianza, di appartenenza allo stesso gruppo, nazione, cultura, rafforzi una risposta compassionevole nei confronti delle vittime morali favorendo un aumento di comportamenti caritatevoli, concordi con una serie di regole morali. L’essere compassionevole ha un effetto radiante poiché porta ad estendere la gentilezza e il perdono agli altri, anche nei confronti di coloro che hanno trasgredito intenzionalmente (Dalai Lama & Ekman, 2008). L’effetto radiante come tutti i comportamenti umani derivano dall’osservazione e dalla riproduzione spesso inconsapevole delle azioni viste fare da altri, pertanto se sicuramente è compassionevole il primo soggetto che si muove agisce ed interviene non lo è necessariamente quello che segue l’azione del gruppo per mera emulazione. Nella sua accezione più ampia, la compassione è la scorciatoia verso l’altro, verso la sua intimità, la sua anima e le sue profondità remote: quei luoghi in cui nessuno è diverso dall’altro. Paul C. Roud sosteneva che: “Compassione e pietà sono assai differenti. Mentre la compassione riflette l’anelito del cuore a immedesimarsi e soffrire con l’altro, la pietà è una serie controllata di pensieri intesi ad assicurarci il distacco da chi soffre”. E’ interessante notare come, dalla considerazione delle sofferenze altrui, originino due sentimenti così profondamente simili nella modalità dell’espressione e così drammaticamente diversi nella finalità ultima: la compassione ci vuole avvicinare senza paura all’altro in quanto nostra immagine riflessa, la pietà invece ci vuole distanziare dall’altro e dai suoi disagi, vuole esorcizzare l’orrore della sofferenza, che nell’altro è tanto reale da temerne il contagio. E’ facile provare sentimenti di partecipazione affettuosa e viscerale nei confronti dei meno fortunati, di quelli che – loro malgrado – sono divenuti portatori della valenza meno bella della vita con il loro carico di dolore, abbandono, miseria, malattia, morte, solitudine: in questo caso la distanza sociale, geografica, culturale è il cuscinetto che permette una partecipazione ostentata e “ammortizzata”. Meno facile è comprendere e condividere le ragioni del disagio quando questo si fa meno evidente, meno plateale, in qualche modo troppo vicino al contesto di vita dell’osservatore: è più facile compatire il barbone all’angolo della strada che il collega depresso, la moglie che tradisce, la solitudine che cresce nella vita apparentemente “normale” di ogni giorno che addolora e consuma.