verso la Luce

Si dice o meglio, si potrebbe dire, che il cammino umano, il senso della vita stessa, non è altro che la
via verso la luce divina. La vita incarnata acquista senso solo e soltanto nella direzione verso Dio,
puntando la rotta della nave che attraversa il tempo a disposizione, solo verso questa meta. Una
continua, ardente luce, un sacro fuoco anima l’esistenza terrena, come fine primo ed ultimo e scopo
del passaggio esperienziale. A conferma del senso e direzione è lo stesso corpo che come sua
predisposizione in potenziale latente, l’ascesa della kundalini attraverso i chakra e la connessione
all’ente supremo, come condizione di guida del sistema uomo. Il sistema umano ha una struttura
predisposta al fine di connessione-accesso alla parola stessa, del lasciar fluire nell’essere umano
vivente. La parola fluisce e crea la consapevolezza come guida all’umanità. Saranno coloro, santi,
avatar, illuminati, colmi e riempiti dalla santa luce e animati dal sacro fuoco, che daranno all’umanità
la direzione da seguire. Le opere d’arte nel tempo sono la prova concreta di dove e come procedere.
Una umanità che senza la connessione suprema è una umanità persa nei labirinti della illusione, nelle
violenze della guerra. Come potrebbe essere definita la guerra se non separazione ed assenza di Dio?
L’assenza di Dio è separazione e violenza che unite insieme danno vita alla guerra. Che la guerra
abbia un anima rituale ed una finalità sacrificale e sia parte dei percorsi stessi della storia umana come
luogo inscindibile, inevitabile, è un fatto storico appurato. La guerra appare un ambito che mira al
risveglio, a scuotere gli animi allontanati da Dio, se così non fosse non avrebbe alcun senso possibile,
visto che in fondo tutti, cosiddetti vinti e vincitori, perdono sempre qualcosa. Le brutalità, le atrocità,
sembrano mirare proprio a questo estremo atto: il sacrificio della vita diretto a scuotere e risvegliare,
scorgendo la luce della speranza, del perdono, della compassione, della comunione, della rinascita,
dell‘ ascesa. Il simbolo del sacro cuore attraverso la sofferenza e quindi le ferite riportate, esce
purificato immerso nel sacrificio rituale del sangue. Un rituale sacrificale che nella sua inevitabilità
di consapevolezza alchemica, riporta la luce divina ad abitare di nuovo nei cuori umani. Ecco che la
guerra nei suoi orrori inevitabili, rende un umanità migliore, ma solo in un ciclo, dettato da chi ha
vissuto, abitato e dovuto, solo a coloro che possiedono la nuova consapevolezza. Solo chi vive il
sacrificio del cuore e le sue spine di sofferenza sembra poi esser pronto ad abitare i tempi di pace, il
tempio di armonia nuova. Il tempio dell’armonia è lo spazio tempo purificato dal sacrificio del sangue.
Il sacro cuore dell’agnello sacrificale immolato sull’altare, compie il rito ciclico del ritorno alla nuova
vita. Solo coloro che hanno vissuto e sono toccati nel loro animo profondo, potranno essere testimoni
viventi della pace riconquistata. La pace si recupera con il sacrificio e la lezione della sofferenza che
ne consegue non altro. La pace è il sacro dono nuovo che ritorna ai cuori meritevoli. Fino a che la
lezione della sofferenza non è matura la guerra dura non c’è scampo e il tempo qui non conta. Il tempo
prende dimensioni al servizio dello scopo non il contrario. La terra è vista come luogo di
sperimentazione dell’anima di per se e non di evoluzione della specie umana intera verso una
assolutezza pacifica nei tempi a venire. I tempi e le ere storiche sono si cicliche, ma sempre al suo
interno abitano fasi pacifiche di maggior fede e fasi sacrificali conflittuali di intolleranze. L’umanità
si rinnova ritrovandosi e si disperde attraversando la storia. Chi crede che non esistano più le guerre
non solo disconosce la storia ma anche le regole stesse dei cicli storici, delle ere della vita stessa. La
pace assoluta è un illusione, forse la più grande. L’umanità si allontana dal sacro cuore nella guerra
e si avvicina nella pace. Chi crede che un giorno non esisterà più la guerra vive nell’illusione, come
se vedesse solo la luce del giorno negando la non luce della notte. Tutto ciò che succede è giusto e
santo, voluto dalla mente suprema come atto necessario alla vita terrena ed ai suoi percorsi sensati.
L’arte stessa come forma suprema di consapevolezza indica la vicinanza o la lontananza di fede in Dio
dell’umanità. L’arte è una specie di termometro per misurare il grado di fede nelle epoche storiche
umane. L’arte come rispecchiamento speculare della vita comunitaria, segnala le dinamiche
oscillatorie, cioè gli aumenti e le diminuzioni degli uomini in comunione (distanza-vicinanza) con
Dio. L’arte nel suo atto sacro supremo è un portale divino di ascesa ascetica. L’arte come forma di
comunione suprema, come arte sacra, è quindi una forma appartenente ad un periodo storico, ma
anche unica possibilità di arte nel tempo. Senza connessione non c’è Dio, senza arte non c’è Dio, senza
Dio non c’è arte ne vita. La vita stessa intesa come arte è possibile come connessione. Senza
connessione non c’è vita quindi non c’è arte. La mancanza di connessione rende l’arte un elucubrazione
masturbatoria fine a se stessa, un tentativo auto-limitante, dove la centralità umana si disperde nei
labirinti delle illusioni, in un giogo-giogo di specchi infinito di sofferenza e terapia. La falsità domina
nell’uomo senza fede e senza cuore. L’arte che diviene sacra, alimentata dalla luce divina, trova via
nei tempi storici permanendoci. L’arte come forma della parola divina diviene un portale di accesso
supremo, immortale, consapevole. Nell’arte che si purifica animando la sacra parola, l’umanità trova
conforto ed alimento, speranza e direzione, senso di vita immorale. L’arte ha senso di essere, esistere
e manifestarsi solo nella sacra connessione.