Sebastiao Salgado la grande arte

Sebastiao Salgado nasce in Brasile nel 1944. Si forma come economista prima in Brasile poi in Francia. Agli inizi degli anni ‘70, mentre lavorava per l’ Organizzazione Mondiale del Caffè, inizia ad interessarsi alla fotografia. Da passione amatoriale, in breve tempo la fotografia diventa una vocazione e un progetto di vita. Salgado trova subito una nicchia di cui diventa protagonista, documentando come i cambiamenti ambientali, economici e politici condizionano la vita dell’essere umano. Ha lavorato su molti dei principali conflitti degli ultimi 25 anni, ma la sua opera più famosa rimane probabilmente “ La mano dell’uomo ”, un colossale progetto sull’uomo e sul lavoro, realizzato in 6 anni attraverso 26 paesi, una delle più importanti opere fotografiche del dopoguerra. A metà degli anni ‘90, profondamente toccato dalla crudezza delle scene viste durante il genocidio in Ruanda, Salgado decide di dedicarsi ad un progetto ambientale presso l’ hacienda di famiglia in Brasile. Contemporaneamente , sposta la sua attenzione di fotografo sulle tematiche ambientali, ed inizia a lavorare al progetto “Genesis” che lo porterà ad abbandonare le sue caratteristiche di ritrattista, ed a realizzare un colossale omaggio al Pianeta, rappresentando animali e paesaggi non ancora contaminati dal progresso umano. Questa trasformazione nella sua carriera, è raccontata splendidamente nel film-documentario “ Il sale della Terra”, di Wim Wenders. Il Fotografo Salgado e l’Africa. Durante alcuni viaggi per conto dell’ Organizzazione Mondiale del Caffè, inizia a conoscere l’Africa ed a capire che per trovare delle soluzioni ai problemi del Terzo mondo, bisogna prima testimoniare. Lo strumento che utilizzerà per adempiere a questa missione sarà la macchina fotografica. Così, nel 1973, lascia il lavoro ed inizia un viaggio di tre anni che lo porterà a girare per tutta l’ Africa con una nuova professione: fotografo.  Contrariamente ai fotografi di “news”, però, Salgado preferisce non correre dietro all’attualità immediata, ma andare dove non succede nulla se non la persistenza di una situazione, critica o semplicemente peculiare. La prima cosa da cui inizia è la siccità nel Sahel. Come racconta al giornalista Mario Calabresi, l’amore per l’Africa rimane tutt’ora intatto:  “Il primo posto dove fotografare per me è ancora l’Africa, amo i suoi cieli, i deserti, le montagne, tutto è enorme ed ogni volta che arrivo sento che sono a casa. Riconosco anche il sottosviluppo che è stato del Brasile, la siccità, la deforestazione, incontro donne e uomini che lavorano  ore al giorno, senza educazione, senza casa, senza una buona alimentazione, senza assistenza e senza scarpe, solo per vendere prodotti sottopagati. Ma non mi muove un problema di cattiva coscienza o un senso di colpa. Da economista ho studiato l’Africa e conosco le ragioni di questi squilibri, mi muove l’idea di raccontare i lavoratori e la loro dignità. Anche quando sono stato nei campi profughi non ho fotografato gente povera o disperata, ma persone. Io non ho mostrato i miserabili, ma gente che viveva in equilibrio e poi ha perso la casa, la terra e cercava un altro luogo dove vivere. Questa è la mia fotografia: rispettarli e  mostrare una storia. Non sono spinto dall’idea di fare foto belle o di diventare famoso ma da un senso di responsabilità : io scrivo con la macchini fotografica, è la lingua che ho scelto per esprimermi e la fotografia è tutta la mia vita. Non penso troppo alla luce ed alla composizione, il mio stile è dentro di mee quella luce è quella del Brasile, quella che porto dentro di me da quando sono nato”. Salgado ed il lavoro. Con la fine del ‘900, l i lavori tradizionali e manuali iniziano rapidamente a sparire, soppiantati progressivamente dall’ avvento delle nuove tecnologie. “ La mano dell’uomo” è un grande omaggio alla condizione umana ed al lavoro, che  Salgado realizza raccontando per immagini  questo passaggio epocale. Dalle miniere d’oro del Brasile ai pozzi di petrolio del Golfo Persico, dalla Manica alle miniere di zolfo Indonesiane, Salgado è sempre lì, pronto a immortalare in 35 mm il dramma e la disperazione ma soprattutto, la dignità dei lavoratori. Salgado era considerato un ottimo fotogiornalista fino alla pubblicazione de “ La mano dell’uomo”, ma quest’opera colossale lo ha collocato in una dimensione ancora più ampia. Le fotografie di Salgado esprimono tutta la loro potenza sia sulla carta stampata che sulle pareti di una galleria d’arte, caratteristica che contraddistingue i grandi fotografi. I suoi soggetti non sono mai ripresi con uno sguardo paternalistico ma sempre con una naturale ed istintiva empatia. Per quanto possa essere emotivamente coinvolto, le foto di Salgado risultano comunque distaccate ed obbiettive. L’ “occhio fotografico” di Salgado si adatta senza problemi ai ritratti individuali come alle fotografie di gruppo, alla fotografia industriale come ai paesaggi. Salgado e la natura. All’inizio degli anni  ’90 Salgado inizia un viaggio lungo sette anni per dare vita al progetto “In cammino”, durante il quale visiterà quaranta paesi per testimoniare gli esodi che affliggono il pianeta. Nonostante i 20 anni di carriera già alle spalle, quest’esperienza si rivelerà traumatizzante per Salgado : ” Quello che ho visto durante il genocidio ruandese mi ha fatto perdere la fede nell’uomo e nel mondo. Alla fine di questo percorso stavo male, la mia salute era a pezzi”. Decide ti tornare in Brasile e dedicarsi ad uno dei piu’ grandi progetti ambientali mai realizzati. Nella terra di proprietà della famiglia da inizio ad un opera di riforestazione che lo porterà a piantare più di due milioni di alberi ed a ricreare un ecosistema ormai scomparso. Abbandona momentaneamente la fotografia fino a quando, ispirato anche da questa esperienza, si lancia nel progetto ” Genesi”. Inizia a viaggiare in lungo e in largo per il  pianeta, alla ricerca di quei luoghi non ancora intaccati dall’uomo,  dove è ancora possibile catturare immagini che evocano tutta la bellezza e la potenza della natura.