nel mondo della bestemmia

Le “madonne” in terra di Toscana sono le bestemmie di cui il libretto: “Non c’è bestemmia, scritti sul parlare riprovevole” edito dall’editore Maglio di San Giovanni in Persiceto, raccoglie una serie di scritti da alcuni punti di vista. Gli autori che inseriscono i loro saggi sono: Florio Carnesecchi, Pietro Clemente, Paolo De Simonis, Luciano Giannelli, Gianfranco Macciotta, Giovanni Pieri. Sicuramente viene da dire al di là dei singoli scritti alcune considerazioni su quella che viene detta bestemmia, cioè una forma di imprecazione che si rivolge ad una entità di un certo potere ultraterreno. I poteri possono essere innanzitutto religiosi e qui già succede qualcosa. Perché non tanto il piano supremo in quanto tale si va a scomodare per colpire il presunto bestemmiatore che offende, ma si sente toccato chi ne detiene di fatto il potere in ambito terreno. Altro campo che si sente toccato è il campo giuridico legislativo, che sostiene in qualche forma ancora quella che era la religione di Stato, o l’idea che ne rimane. La bestemmia vuole creare una relazione con qualcosa e lo fa da chi è inconsapevole, in stato di inferiorità e distanza. La distanza del piccolo uomo che urla qualcosa a chi sa per dato di fatto, essere oltre ed al di sopra, presente però in tutto, cose visibili e invisibili. La bestemmia riconosce ed evoca l’esistenza del soprannaturale.  L’essere umano che lancia verso l’alto il suo urlo di impossibilità, al cielo, dove abita il Padre. Ma Dio essendo presente in tutte le cose anche materiche, sa ed è partecipe in qualche forma, della stessa presunta infamia a sé stesso. Questo: “sfogo emotivo” come viene qui chiamato, è una forma di supplica, di ammissione di impossibilità ed impotenza più o meno momentanea, quando non diviene addirittura intercalare facendosi linguaggio. La bestemmia o imprecazione vuole testimoniare una ingiustizia nei confronti del singolo e della sua azione non riuscita, fallita o difficile da compiere. La bestemmia dice che non è giusto che succede qualcosa e quindi parte l’emozione ed il suo codice linguistico espressivo. L’emozione parla così è il suo modo spontaneo di maniufestarsi. Nella bestemmia non c’è azione di pensiero, ma filtro emozionale a sostegno ed a spinta delle parole, come fosse un mantra a rovescio. Intanto di altra forma cioè già creativa, sono rima e ritmo, che appartengono ad una teatralizzazione o poeticizzazione ad effetto. Si legge:

“In toscana la bestemmia è parte del dialetto. Il toscano senza moccolo è come la minestra senza cacio”

Dialetti e vernacoli in quanto linguaggi del popolo, non possono non usare i colori vicino al mondo che lo usa è normale e dovuto, perché il popolo segna il suo stato di sudditanza con il marchio a fuoco della bestemmia. Il moccolo è infatti il cero acceso davanti alla immagine sacra, così come la bestemmia si chiama nello stesso modo, come fosse anch’essa una supplica in forma popolare per qualcosa qui però di mancato. Chi bestemmia sa di essere escluso in qualche forma.  Un modo di pregare al contrario da parte di chi pur riconoscendo la divinità o altro in una qualche forma, sottolinea la sua impotenza nel riuscire a costruirci un dialogo diretto di polo positivo. La bestemmia da per scontato che si compia una ingiustizia non consona alla persona in quanto tale. La bestemmia è il modo di esprimersi del figlio non riconosciuto dal padre. Da Padre Balducci:

” le bestemmie dei poveri sono giaculatorie che arrivano a Dio

Segnando comunque una relazione a livello inconsapevole, ma pur sempre da parte di un mondo che vive e sente di subire sulle proprie spalle ogni forma di potere e non gli rimane quindi che questa forma di espressione, supplica o preghiera al contrario, per relazionarsi molto spesso con una richiesta. Il popolo inveisce da sempre e lo fa con le parole segnate secondo: epoca, colore, dialetto, rima ed ogni sorta di fantasia che gli appartiene. Florio Carnesecchi:

“…nelle culture antiche il legame tra il nome e la cosa era talmente forte che si pensava che il solo fatto di nominarla equivalesse ad una evocazione (..) nel corso dei secoli la forza evocativa delle parole, la loro funzione magica, ha in parte ceduto alla carica dirompente del linguaggio tecnico e scientifico. Tuttavia, nelle culture, soprattutto negli stati subalterni, è sembrata sopravvivere(..)la concezione che il linguaggio da solo potesse richiamare e allontanare pericoli e malattie, (..) che le parole potessero modificare l’esistente, per il solo fatto di essere formulate…”

Il linguaggio popolare ha in ogni modo un suo modo di: essere, esprimersi, modificarsi nel tempo, cambia nei tempi e nei luoghi, prende parole dei suoi dominatori le riadatta o le storpia. Credo che una corrispondenza tra parola e significato contenuto, non sia mai morta del tutto, va e viene, dipende solo dal contesto e da chi le usa. Evocazione per bestemmia sono quindi termini accostabili, magari potremmo parlare ancora di evocazione rovesciata, al contrario. La parola possiede ancora un suo potere evocativo e formativo della materia ed incide su di essa, dipende da come e con quale direzione, consapevolezza la si esprime. Esistono infatti le formule ed anche qui possiamo dire, che la bestemmia è una formula sempre all’ inverso o rovescio. Si richiede attraverso una blasfemia bonaria ed amicale una supplica per spingere ad una protezione che per paura si crede non essere presente. E ancora:

“anche la preghiera, come le parolacce, travalica il quotidiano. Ma mentre la preghiera si rivolge direttamente a Dio, che trascende la nostra realtà, le parolacce, (..) nascondono una concezione magica del mondo le cui chiavi di accesso sono parole che hanno in sé una grande forza evocativa, capace di evocare un intervento (..) la bestemmia infatti non sempre si configura come un imprecazione ma suona, talvolta, come un invocazione, una richiesta di aiuto, un modo di richiamare l’attenzione, una provocazione rivolta alla divinità perché giri il suo sguardo dalla parte di chi lo nomina, uno scambio di messaggi tra Dio e l’uomo, una preghiera che cambia il senso ma non il destinatario.”

Quindi invocazione, preghiera, supplica, il mantra parola che chiamiamo bestemmia in tutte le sue forme e varianti, è patrimonio del popolo che così si esprime.  In questa ottica non si può parlare di offese, ma di relazione sotto la forma di chi può esprimersi così perché quello è il suo linguaggio e quella la sua consapevolezza senza altra possibilità. Nell’ignoranza il popolo tenta di farsi perdonare.

“serve un linguaggio capace non solo di una particolare brevità fonica, (..) ma anche per così dire di una notevole brevità cognitiva: deve essere un linguaggio che non richiede un grande sforzo di introspezione (..). potere magico della parola (F. Cardini) che permette di esercitare un potere sul mondo a cominciare dalla possibilità di dar nome alle persone e alle cose. D’altra parte, la parola nasce con la funzione di comunicare, ma non rinuncia alla sua sacralità…”

Per volare in alto come freccia scoccata sotto forma di parola, che arrivi a destinazione. Non è il messaggio abbandonato alle onde in bottiglia o la letterina a Babbo Natale, che sono sempre suppliche verso l’ignoto, ma comunque il riconoscere il mistero e chi lo abita, valicando con la parola quella porta sconosciuta che ammette l’impossibilità di altro approccio, dal reale all’irreale andata e ritorno. La bestemmia è uno stato estremo del profondo che prevarica il filtro della mente, esprimendo diretto un impeto vero e sincero verso il cielo e chi lo abita.