medicina degli schiavi e degli uomini

“Ci sono due tipi di medicina: quella degli schiavi e quella degli uomini liberi. Quella per gli schiavi, SINTOMATICA, prevede la rapida rimozione del sintomo, perché il soggetto possa tornare al più presto al lavoro. Quella per gli uomini liberi, EZIOPATOGENETICA, prevede la conoscenza e la comprensione del sintomo, il suo significato per la salute complessiva del corpo, per l’equilibrio della persona e per la sua famiglia.” (Platone, filosofo greco IV secolo a.C.) E se la malattia non fosse il dramma che viviamo? E se la malattia fosse una risposta sensata del corpo per risolvere una situazione alla quale non trovo soluzione ? E se la malattia fosse un messaggio per portare l’attenzione su una problematica che sto negando o che non ho elaborato a sufficienza e che mi fa consumare tanta energia da mettere in pericolo la mia qualità e la mia quantità di vita? Partendo dal presupposto che il corpo è estremamente competente, il mio approccio ha per obbiettivo di capire perché ha avuto bisogno di sviluppare una malattia, decodificare il messaggio per poter riprendere in carica consapevolmente la risoluzione del problema e liberare il corpo da questo compito. Sfruttare al massimo la malattia fino a che si esaurisca e che io ne esca più forte e con maggiore benessere che prima che apparisca. Siamo molto contenti quando possiamo dare la colpa della nostra malattia a un nemico esterno: un batterio, un virus. Ma Pasteur lui stesso riconosceva alla fine della sua vita che il microbo non è niente in confronto all’importanza del terreno. La stanchezza, lo stress, l’angoscia, una cattiva igiene di vita ci rendono molto più vulnerabili alle aggressioni esterne. Se queste aggressioni vincono le nostre difese interiori è generalmente per delle ragioni più profonde. Ci accontentiamo troppo spesso di combattere i sintomi, di eliminare gli effetti visibili… le cause profonde invece sono spesso tralasciate, ignorate. La bioconsapevolezza propone di integrare la ricerca di queste radici della malattia e portare maggiore salute nella propria vita. Il medico tra arte, magia e scienza – La storia della medicina è storia dell’uomo, della società e della civiltà. Certamente la sua origine risale agli albori dell’apparire dell’uomo sulla terra, rappresentando la “difesa dal male” una esigenza spontanea della natura umana. Ma che cos’è il male e quale il suo valore? Che uso si fa del cosiddetto male? Non è il male un segno da trasformare piuttosto che da estirpare combattere e distruggere prima possibile senza capire? La medicina occidentale di potere finge di curare poiché usa il potere per rendere gli uomini schiavi essendo inconsapevoli non li consapevolizza non li aiuta nel possibile processo di crescita ma li possiede. Allorché viene riconosciuta l’origine naturale delle malattie e nascono le teorie fisiologiche, i metodi di diagnosi e di prognosi, e vere e proprie tecniche di guarigione che tengono in considerazione fattori sociali, ambientali, igienici e dietetici favorevoli al recupero della salute. Questa trasformazione è legata soprattutto ad Ippocrate di Kos ed alla sua teoria sugli umori (sangue, flegma, bile, atrabile) che circolano nel corpo ed al cui equilibrio armonico viene fatto risalire lo stato di salute, mentre se vi è un disequilibrio qui vi è malattia, ed è allora che il medico può intervenire ristabilendo il giusto equilibrio, ricavando indicazioni terapeutiche dall’osservazione dello stato delle secrezioni corporee e somministrando ciò che possa ripristinare lo stato di salute. Quindi il medico ippocratico ha già nella sua professione molte delle caratteristiche del medico moderno: l’osservazione scientifica che porta ad una diagnosi, ad una prognosi e ad una terapia. Il paziente è oggetto passibile della medicina: ancora attorno alla figura del medico vi è quella aura di magia e mistero per cui l’uomo di strada non fa domande, non obietta e non decide del suo corpo, ma dà la sua piena fiducia all’arte medica e alle capacità del medico. Il medico è quindi una specie di sacerdote, avendo potere sulla vita o sulla morte. “Quanto al medico, sembra a me che la cosa migliore sia che egli pratichi la previsione; perché con una conoscenza e dichiarazione preventive, di fronte ai malati, dei loro casi presenti, passati e di quelli che dovranno presentarsi in futuro, e con una puntuale esposizione di quanto gli infermi tralasciano di dire, egli sarebbe maggiormente accreditato di conoscere le condizioni dei malati, così da risolversi, gli uomini, ad affidar se stessi al medico. E, quanto alla cura, nel modo migliore vi provvederebbe, prevedendo gli sviluppi futuri sulla base degli accidenti presenti. In effetti, far risanare tutti quanti i malati è impossibile: e questo varrebbe di più di conoscere preventivamente gli esiti che si dovranno dare. Ma dal momento che gli uomini muoiono […] prima che il medico con l’arte possa contendere con ognuno dei diversi morbi; occorre allora conoscere le nature di tali affezioni, quanto sono al di sopra del potere dei corpi e insieme anche se vi è nelle malattie un elemento divino, ed acquisirne la previsione. Perché è così che si sarebbe giustamente ammirati e si sarebbe un buon medico; ed infatti, quanti sono in grado di sopravvivere, tanto più egli potrebbe salvaguardarli da quanto più tempo provvede ad ogni caso; e con la preventiva conoscenza e dichiarazione di chi morrà e di chi si salverà, non ne sarebbe responsabile” In questo passo tratto dal primo libro della “Metafisica” di Aristotele, chiara è la posizione del medico: egli deve cercare di fare tutto il possibile con la scienza ma anche con le arti divinatorie, perché solo grazie a queste potrà sapere in anticipo gli esiti del morbo sul paziente, e anche non potendo fare più nulla ma avendolo preventivamente appurato, egli non ne sarà responsabile: vi è quasi un idea di ineluttabilità del destino, in cui anche la scienza non può entrare e non può fare nulla il medico, che quindi non è responsabile di insuccessi o fallimenti, è il fato che già prima che la scienza possa agire ha scritto il decorso della malattia di quel paziente. Ciò che il medico decide è sempre lecito, poiché egli è l’unico che può conoscere il futuro del paziente e come si evolverà la sua malattia. Ed egli non è responsabile degli insuccessi, di cui solo responsabile è il fato e la natura. Il dovere del medico è quindi fare il bene del paziente, e il dovere di questi è accettarlo. Il medico è soggetto agente, ha il compito di procurare al paziente un bene oggettivo ripristinando l’ordine della natura sconvolto dalla patologia; il paziente invece non può non considerare buono ed adeguato ciò che il medico gli propone come tale. Il rapporto del medico con il malato, apparentemente disequilibrato, ritrova una sua simmetria in quanto al sapere potere del medico corrisponde il dovere che egli stesso responsabilmente si dava. Nel famoso Giuramento della sua scuola, il famoso Ippocrate, propone una concezione etica della medicina, le cui norme fondamentali sono il segreto professionale, la consapevolezza di compiere un’opera nobile, che ha come obiettivo imprescindibile il bene del malato, la illiceità dell’aborto, il divieto all’uso di veleni. A tale concezione la medicina si ispirerà per secoli. “Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dèi tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto […]Il medico presta giuramento alla divinità, che lo lega in modo indissolubile all’arte medica: quindi il medico ippocratico sviluppa una concezione di responsabilità professionale di tipo più religioso che giuridico, forte e di tipo morale. E proprio per questa connotazione il medico è giuridicamente impunibile poiché egli per natura sempre e comunque agirà ed opererà per il massimo bene del paziente. Questa concezione si tramanderà per secoli: autorità morale del medico e di conseguenza impunibilità giuridica. Per ciò che concerne il malato, suo unico obbligo è obbedire. Interessante, e molto attuale, è il pensiero platonico sulla figura del medico, bene espresso nel “Fedro”. In questa opera Platone traccia la nota distinzione tra “medico degli schiavi” e “medico dei liberi”: il primo è colui che è come un tiranno per il paziente, non parla con il malato, suo unico scopo è massimizzare il guadagno, e per fare ciò prescrive farmaci oscuri al suo assistito senza neppure spiegargli gli effetti; il “medico dei liberi” è invece colui che prima di curare cerca di trovare una causa al male, egli interroga il paziente ed i suoi amici e familiari, e non prescrive alcun farmaco senza prima averne spiegato gli effetti all’ammalato. Quindi il “medico degli schiavi” è assimilabile al sofista: egli non è un vero medico come il sofista non è un vero sapiente; “medico dei liberi”, invece, è un vero medico, poiché possiede non solo la competenza scientifica, ma anche l’arte della dialettica che fa della medicina un sapere specifico, un sapere umano reale e globale, quel sapere che nel detto ippocratico rende isòtheos il medico che lo possiede. Platone chiama il sapere medico “ippocratico”, e lo definisce come un sapere che ha per oggetto il corpo, e quindi per analogia assimilabile alla retorica che ha invece come oggetto l’anima, ma è anche un sapere che per arrivare alla conoscenza del corpo stesso non può non attraversare la via che passa attraverso la conoscenza dell’intero; questa conoscenza non implica solamente una responsabilità generica del medico in quanto scienziato nei confronti della verità, ma anche una concretissima responsabilità del medico, come uomo, nei confronti di quegli altri uomini concreti che sono i suoi pazienti.