Maestro & Zen

Un maestro che rende (troppo) facile la via ai suoi allievi non è degno di chiamarsi tale. Un maestro è anche l’allenamento con il mondo per chi riesce a vederlo; il suo compito è dare gli strumenti e rafforzare i suoi allievi. Maestro è la vita che ti costringe a trovare la via di verità. Un maestro è lo specchio che riflette pregi e difetti mostrandoli al momento opportuno. Un maestro non può mai mentire altrimenti il suo insegnamento avvelena gli allievi e li rende cattivi, deboli, indifesi. Un maestro per essere tale deve avere sconfitto il suo ego altrimenti lo alimenterà e svilupperà negli allievi. Un maestro deve essere puro di cuore diversamente non saprà dove andare e porterà gli allievi fuori strada. Potrà essere maestro di: spada, meditazione, yoga, arti parziali cinesi o giapponesi o altre, maestro d’arte pittorica scultura o artigianato, di musica, ma sempre con gli stessi principi: lealtà e onestà. Non ha importanza l’arte e le tecniche è la sua applicazione profonda raggiunta che conta. Un maestro dovrà avere alle spalle molta esperienza per fare dalle sue lezioni un esempio di vita trasmissione tra generazioni. La conoscenza trasmessa da maestri ad allievi è con un continuo interscambio umano della storia umana insostituibile con nient’altro. La trasmissione del sapere sarà il nutrimento su cui basare stimoli esperienze insegnamenti continui. Il maestro non dice o spiega ma segue passo dopo passo rispettando i tempi degli allievi. Spesso i silenzi di un maestro parlano più delle parole. Il maestro intuisce i tempi necessari per crescere e riuscire a trovare la strada, rispetta tempi e scelte anche se sono sbagliate perché osservando impara. I veri maestri non si possono riconoscere quando non siamo pronti ad accoglierli, il cuore non è ancora aperto e possiamo riceve gli insegnamenti. Si attraversano le tante necessarie bufere del mondo e senza stabili e forti radici le piante non potranno sopravvivere a lungo. Il maestro è anche la via della conoscenza del maestro di se stessi. Maestro interiore e esteriore si rispecchiano e procedono insieme essendo la stessa cosa. L’interiore si rispecchia nell’esteriore quindi il maestro che troverai vero o fasullo corrisponde a ciò che cerchi. La via con il maestro è difficile da percorrere per questo a pochi è concessa. Un buon maestro si riconosce perché non ha mai molti veri allievi, la selezione è molto forte. Un maestro lascia tracce nei cuori con opere e scritti perché il suo lavoro sia documento di passaggio, possa essere ancora utile sostegno anche a chi non lo ha conosciuto in vita. Un maestro spesso non è formale non è simpatico ma a volte irrita perché oltre la facciata è sostenitore ora e sempre della verità. Un maestro non sai mai cosa fa e non puoi prevederne le mosse. Un maestro se lo hai incontrato non lo dimentichi, se non lo riconosci vuol dire che eri nel caos.I principi dello Zen – Puoi trovare liste di principi Zen in ogni angolo, ma la verità è che… anzi, ci sono due verità, e io non ne possiedo alcuna. Da un lato infatti lo Zen ha un enorme numero di principi e regole, mentre dall’altro esso si basa sostanzialmente sulla ricerca di vivere il qui e ora e trovare la consapevolezza di sé. Fare di meno…Per fare meglio. Dedicarsi completamente a ciò che stiamo facendo. Fare le cose lentamente e intenzionalmente. Concentrarci sulla pratica, non sul risultato. Destinare del tempo a quello che conta. Vivere la vita, e non girarci attorno. Meditare, come forma di allenamento per la vita. Non essere attaccati ad alcuna cosa. Godersi il momento. Trovare la felicità in ciò che abbiamo. Servire gli altri. La mente di principiante. Allo studente Zen il maestro richiede una mente vuota da preconcetti e invece sempre disposta all’apprendimento. Ecco come descrive questo tipo di atteggiamento il maestro Shunryu Suzuki: Nella mente di un principiante ci sono miriadi di possibilità. In quella degli esperti, ce ne sono pochissime. Il principiante è predisposto all’apprendimento e sempre si domanda cosa ci sia da imparare dall’esperienza che sta vivendo, pronto a meravigliarsi di essa. Meno è meglio – Minimalismo e Zen vanno a braccetto: mentre il primo è solo recentemente assurto a stile di vita, il secondo ha sempre incarnato il primo. Nella mente di noi tutti il minimalismo è – erroneamente – possedere meno cose, mentre invece esso è un metodo per dedicare le nostre risorse solo a ciò che è essenziale. Così lo Zen impone la rinuncia a tutto quanto è superfluo, limitando i possedimenti del monaco buddista a tunica e ciotola per mangiare e bere. Una cosa alla volta – La dottrina Zen insegna a non dedicare la propria attenzione a una cosa fino a quando non abbiamo concluso quella a cui ci si sta dedicando; il che accade, a livello mentale, circa una volta su due a ognuno di noi. Chi non risponde alle telefonate o ai messaggi durante i meeting di lavoro, o controlla Facebook mentre parla al telefono o guarda la TV? Rallentare – Nel concetto di rallentamento lo Zen introduce quella intenzionalità. In un mondo che sfugge via, sempre di corsa, l’unico modo di godersi quello che ci è dato è rallentare. Rallentare significa inserire del tempo per riflettere fra gli stimoli che riceviamo e le reazioni con cui rispondiamo. Questo ci consente di agire in accordo con le nostre intenzioni, e non impulsivamente. Concentrati sulla pratica – Nello Zen la pratica è un tutt’uno con la dottrina. La dottrina stessa è pratica. Puoi trovare l’illuminazione anche se non sai cosa sia –non devi sapere cosa sia per riuscire a trovarla. Se però non la cerchi, non la trovi. Anche se il cercarla ti preclude il trovarla. Solo se pratichi Zazen e osservi gli insegnamenti dei maestri, allora sei sulla strada verso l’illuminazione. È il modo di farlo che fa la differenza. Questo trovo che sia uno dei principi più importanti e per questo motivo la Sfida di Vivere Intenzionalmente è costruita come una pratica da ripetere costantemente per tenerci in allenamento. Rituali – I rituali aiutano a dare importanza a quello a cui ci dedichiamo. Concatenando azioni nei nostri rituali le aiutiamo a proteggersi l’un l’altra dagli accidenti della vita. Se una cosa vale la pena includerla in un rituale, allora è importante, e allora siamo impegnati nel proteggerla. Partire dalla costruzioni di rituali per il mattino e la sera è il modo migliore per prendere dimestichezza con questo approccio. Destina il tempo a ciò che conta – Destinare del tempo a ciò che abbiamo scelto essere importante per noi è l’unico modo di trovare del tempo per ciò che dà senso alla nostra vita. Bloccare del tempo sul proprio calendario per le cose importanti è l’equivalente di ciò che fanno i monaci Zen con la pratica della meditazione. Destinare del tempo ogni giorno ai nostri rituali significa costruire una casa per ciò che in linea con le nostre intenzioni. Vivere, e basta – Qual è il senso ultimo della vita? Vivere. La scuola Zen spiega questa cosa attraverso diversi racconti brevi chiamati koan. Un giorno, un monaco chiese al maestro Seigne Gyoshi: “Quale fu l’intenzione di Bodhidharma quando venne dall’India in Cina? Seigen Gyoshi rispose: “Ha soltanto agito così com’era”. Il monaco disse: “Maestro, potrebbe ridirmi quel che ha appena detto in parole che io sia in grado di capire? ”Seigen Gyoshi disse: “Venga qui!” Il monaco si avvicinò al maestro. Seigen Gyoshi gli disse: “Si ricordi chiaramente di questo”. Affannarci a correre a destra e manca per fare mille cose ci distrae da quello che è lo scopo ultimo della nostra vita: realizzare quegli istinti naturali che sono posti dentro ognuno di noi fin dal primo giorno in cui veniamo al mondo. Quando cerchiamo di rispondere a qualunque stimolo artificiale riceviamo dalla società, mettendo da parte i nostri ideali e i nostri istinti di vita, tralasciamo il motivo per cui siamo al mondo, cioè quello di crescere come individui e svilupparci come entità uniche in relazione agli altri e all’altro, dato quell’altro secondo le credenze di ognuno di noi. Meditazione – Lo Zazen, ossia la meditazione seduti, è la pratica Zen per definizione. Sedersi in terra e osservare quello che succede attorno a noi, ascoltando il nostro corpo, un respiro dopo l’altro e quello che ci passa in mezzo, senza pensare ad altro, è così facile e così difficile al tempo stesso. Ci sono diversi tipi di meditazione e ognuno può trovare il suo preferito. Nello Zen stesso esiste anche la meditazione camminata, addirittura pratica chiave in alcune scuole, ma la meditazione è presente anche in altre pratiche come per lo Yoga – meditazione esso stesso – o i Riti Tibetani, esercizi fisici derivati dallo Yoga che stimolando il sistema endocrino ci mantengono in forma. La pratica della meditazione può essere estesa a qualunque attività, dalla cucina, come insegna il maestro Dogen nelle Istruzioni a un cuoco Zen, alla gestione della casa, come nel Magico potere del riordino di Marie Kondo. Cucinare, così come pulire o riordinare, sono due pratiche che possiamo trasformare in rituali di meditazione, semplicemente dedicando tutta la nostra attenzione a queste attività, e rallentando per viverle intenzionalmente. Non attaccamento – Il non attaccamento è un concetto comune a Yoga, Buddismo e altre discipline orientali. Vivere senza attaccamento consente di distaccarsi dal ciclo delle reincarnazioni e liberarsi da questo. Praticare il non attaccamento significa imparare ad accettare la vita, con i suoi accidenti e le sue magagne, per quello che essa è. Ed è nel viverla – nella pratica del vivere -, non nel ricercare un premio per averla vissuta, che troviamo la nostra illuminazione. Il premio è in definitiva il vivere stesso. Godersi il momento – Il rito del the è una pratica giapponese che trasforma l’assunzione di una bevanda calda in una vera e propria cerimonia sociale che include in se stessa i principi chiave della meditazione e dell’essenzialità dello Zen. Senza necessità del rito, possiamo rendere Zen il momento del the semplicemente dedicando tutti noi tessi a esso. Questa cosa lo possiamo fare in tanti altri momenti della nostra vita, per esempio rimuovendo ogni altro pensiero dalla nostra testa e trasformando in una cerimonia il momento di gioco con nostra figlia, o il rituale con cui la mettiamo a nanna. L’importante è crearsi dei margini per avere il tempo di rallentare e riflettere su quello a cui stiamo per dedicarci o abbiamo appena vissuto.

Le #persone che ti #rispettano #sanno…
Cercare la felicità in ciò che abbiamo – Uno dei principi importanti dello Zen è quello della ricerca della felicità in ciò che abbiamo. Nello Zen la felicità non è data dall’esterno, ma dall’interno. E questa è anche una verità scientifica, come hanno provato gli studi del ricercatore Shawn Achor e come ha riassunto Robert Wiseman nella teoria Come se. In sostanza, è sufficiente sorridere per essere tecnicamente più felici. La pratica Zen è essa stessa ricerca della felicità, anche se in questo caso la felicità non è l’oggetto della ricerca. In un certo senso, è ricerca senza un oggetto di ricerca, senza mente. L’unico tipo di ricerca il cui ultimo fine è se stessa, ovvero l’atto del ricercare, che poi è quello che ci rende cercatori, indipendentemente da ciò che troviamo. Una volta ancora, è la pratica l’oggetto stesso della nostra felicità. E questo è ancora più vero se pensi al concetto di flow come definito dal professor Mihaly Csikszentmihalyi: quando un’attività ti appassiona per davvero finisci spesso col perdere la concezione del tempo e dedicarti a essa più di quanto avevi previsto o quanto fosse lecito, che si tratti della lettura di un libro o di un progetto che fa parte del tuo lavoro. Servi gli altri – Il concetto di servizio è insito nella dottrina Zen perché parte del nostro istinto di esseri umani. Siamo animali sociali chiamati a vivere all’interno di un branco contraddistinto dal supporto reciproco fra i membri che lo compongono. Il nostro branco sono la famiglia, il giro di amicizie, la comunità in cui viviamo, il mondo intero. Una volta che abbiamo trovato la felicità nel nostro essere, non resta che dedicarci ad aiutare gli altri a compiere lo stesso percorso. Condividere, donarsi, è quello che facciamo fin da bambini nei confronti di chi ci ha donato la vita e le sue attenzioni ancora prima di trovare un perché; è quello che facciamo con coloro che diventano nostri amici; ed è infine quello che facciamo quando smettiamo di voler bene a un’altra persona per iniziare ad amarla.