Le arti magiche tra Medioevo e Rinascimento

Il quadro culturale sulle arti magiche è molto variegato, basti dire che la definizione stessa di mago ha una doppia accezione, la prima come conoscitore e praticante di carattere colto e sapienzale, la seconda come illusionista e ciarlatano. Nel Medioevo, soprattutto a partire dal XIII sec., la Chiesa cominciò ad intervenire più severamente nei confronti della magia (soprattutto la stregoneria), poiché nella cultura dell’epoca la sua diffusione trovava un numero sempre maggiore di adepti. L’opera di Tommaso d’Aquino, a tal riguardo, rappresentò un baluardo difensivo al dilagare di magia e stregoneria, tracciando il confine oltre il quale non fosse consentito andare. La sua Summa contra Gentiles (scritta tra il 1258 e il 1264) è uno degli esempi più chiari di teologia anti-magica benché non manchino nell’Aquinate alcune aperture verso l’attività onirica (anche l’onorimanzia, ossia l’interpretazione dei sogni) affermando che i sogni potessero essere delle premonizioni o delle proiezioni simboliche della società. La sua “messa al bando” trova consenso di gran parte di quanti potrebbero essere definiti gli intellettuali dell’epoca che sostengono la posizione della Chiesa in quanto magia e stregoneria sono soprattutto frutto dell’opera del diavolo. Eppure, se la condanna arriva anche da Dante che collegava la magia all’inganno del demonio, unica creatura nell’universo a poter minacciare e modificare, anche se nella sola apparenza, l’ordine naturale delle cose e le sue leggi, esistono alcune eccezioni che sembrano confermare che, malgrado la difficoltà e la rigida chiusura del pensiero ufficiale, esistesse un dibattito in seno alla Chiesa pur non avendo carattere pubblico. Giovanni Duns Scoto, teologo e filosofo scozzese, e lo stesso Giovanni Boccaccio, tra gli altri, avevano una posizione ben diversa nei confronti della magia. Il primo, in realtà, venne considerato uno dei grandi maghi avendo esercitato soprattutto sotto l’imperatore Federico II mentre il secondo giunse ad interessarsi di “magia dotta” grazie alla sua profonda conoscenza della cultura classica. Con la letteratura classica, in particolar modo, Boccaccio aveva appreso molto della magia sapienzale tanto da farne ampiamente mostra in almeno tre delle novelle del Decameron: Nastagio degli Onesti (Quinta giornata, ottava novella); Madonna Dianora (Decima giornata, quinta novella); Saladino e Messere Torello da Pavia (Decima giornata, nona novella). In epoca rinascimentale, tuttavia, la magia dotta sembra acquisire un carattere quasi scientifico. Se da una parte è proprio nel Quattrocento e, ancor di più, nel Cinquecento che si scatenerà la triste e violenta “caccia alle streghe” che porterà al rogo migliaia e migliaia di donne prevalentemente nelle aree di lingua tedesca, dall’altra la magia sapienzale si affina al punto tale da divenire una quasi-scienza con esponenti che per formazione culturale e serietà nel praticare non possono essere definiti ciarlatani e illusionisti. Nelle università e nelle academie, in assoluto i primi veri centri culturali non soggetti all’egida della Chiesa, si formano uomini (raramente donne) che hanno grande conoscenza della cultura classica  e che considerano la magia un’arte regale, sottile e colta, che nulla ha a che vedere con la stregoneria dei sabba e delle donne che oltre a volare praticano discutibili pratiche mediche, di guarigioni e di contatto con l’aldilà. La magia colta non è la magia nera. Cornelio Agrippa, Paracelso, Giovanni Pico della Mirandola, Marsilio Ficino studiano testi classici esoterici e ermetici, spesso attribuiti a Ermete Trismegisto, leggendario personaggio dell’età ellenistica, venerato come maestro di sapienza e ritenuto l’autore del Corpus hermetucum, autentica fonte di ispirazione per filosofi e umanisti di età rinascimentale. Tali uomini hanno la capacità di penetrare le realtà visibili e invisibili infinitamente complesse dell’Universo. Lo strumento fondamentale per tale penetrazione è l’amore inteso come elemento divino con cui contrapporsi a qualsiasi azione diabolica. All’attività demoniaca, per la verità, non viene dato grande valore, in quanto i maghi dotti del Rinascimento sono interessati ad altro. Per tale ragione e, soprattutto, in questa ottica le pratiche da loro operate non trovarono forti resistenze da parte della Chiesa. Ciò non significa che un’attività censoria non sia in nessun momento effettuata nei loro confronti ma nessuno di questi uomini subisce per mano del potere ufficiale discriminazioni tali da minacciarne addirittura la loro incolumità fisica. In fondo, a differenza della gran parte degli intellettuali delle epoche precedenti, la magia e le pratiche connesse non furono interpretate come delle violazioni alle leggi universali concepite da Dio, bensì come un modo per comprenderle e grazie a queste poter arrivare all’Onnipotente. Il profilo ben più intimistico e individualistico dell’ermetismo e dell’esoterismo (nel Rinascimento avrà diffusione la corrente neoplatonica) fu di ulteriore complemento ad una relativa coesistenza con il pensiero ufficiale della Chiesa.(Paride Vallarelli)