il re ed il buffone

19

Re Lear:
“Mi chiami matto, buffone?” Buffone: “Tutti gli altri tuoi titoli li hai dati via,
con questo invece ci sei nato.”
(W. Shakespeare – Re Lear – I,IV)

Una figura familiare nelle corti medievali era quella del Buffone, descritto come compagno inseparabile del Re, suo unico confidente e consigliere, figura ambigua di giullare demente che, compiacendosi dei lazzi sciocchi ed insensati con i quali bersagliava gli astanti, celava spesso tra scherzi e doppi sensi osceni abissi di saggezza insospettabili. Il Buffone era l’unico al quale, entro certi limiti, veniva concesso di farsi beffe del Re senza dover per questo pagare con la propria vita l’affronto. Uccidere o far del male al Buffone era inoltre considerato un segno di sicura disgrazia, la sua immunità e libertà di parola derivavano anche da una superstizione che legava i suoi destini a quelli del Re. Vi è, in realtà, un motivo profondo che accomuna la figura del Re a quella del Buffone di corte. Il Re è per antonomasia il simbolo vivente dell’Ordine dell’Autorità e della Legge. Si potrebbe dire che egli fosse il catalizzatore dei principi sui quali erano organizzate le società medievali. Se dunque il Re incarnava l’Ordine, la morte del Re o la sua deposizione, la messa in discussione della sua autorità, significavano l’irruzione del Disordine e del senza-forma nel mondo chiuso della corte. Dato che sul Re si faceva affidamento perché le Leggi fossero rispettate, perché fosse garantito il tranquillo e ciclico ripetersi degli eventi “conosciuti” della vita di ogni giorno, nella possibilità stessa della caduta e scomparsa del sovrano si nascondeva minacciosa tutta la forza dirompente e devastante del Caos. Se il passaggio attraverso il Nulla, la perdita dei propri punti di riferimento, la distruzione dei ritmi quotidiani è quanto di più temibile un uomo possa concepire, è anche vero che il rinnovamento, la trasformazione, i nostri stessi cicli vitali richiedono che il “vecchio ordine” venga periodicamente abbattuto per fare posto ad un “nuovo ordine” più adeguato al mutare degli eventi. Nel Nulla, nel Caos, nelle “Acque Cosmiche” è celata la forza della rigenerazione ed il prezzo che si deve pagare per rinascere integri e pronti per un nuovo ciclo vitale è la totale perdita dell’Ordine Antico, del ricordo stesso della sua esistenza. Ogni Re, quindi, man mano che il suo potere e la sua autorità aumentavano, consolidava fuori di sé questa possibilità a lui antitetica, di caduta e dissoluzione. È in questo contrasto che si inserisce la figura del Buffone. Egli oppone ad un’intelligenza rigida e contingente del mondo la “demenza” di chi attinge ad una saggezza fluida e senza tempo, al linguaggio netto, preciso e consequenziale del Re, un parlare oscuro e illogico, fatto di rime, indovinelli e motti arguti e beffardi. In ciò che è strutturato, codificato, dotato di forma, egli sa vedere “l’altro lato”. È il mediatore tra l’Ordine esistente ed il Caos che lo delimita. Il Buffone era il tramite, il mezzo mediante il quale il Re comunicava con “l’altra metà del Mondo”, con la potenza vivificante del proprio inconscio, scongiurando in tal modo un eccessivo irrigidimento del suo ruolo ed autorità, che avrebbe reso il Regno obsoleto e pericolante. Questo ruolo di mediatore ne fa una figura mercuriale per eccellenza e non a caso tutte le figure di giullari e buffoni della storia e della letteratura hanno come nume tutelare proprio Hermes (basti pensare al nome che Shakespeare ha voluto dare a Mercuzio in “Giulietta e Romeo”, Mercuzio, l’amico di Romeo, racchiude in se tratti tragici, possiede anche l’innegabile talento dissacrante del giullare, di cui fa sfoggio anche in punto di morte. Collegando l’Ordine ed il Caos, che scindendosi avevano dato origine al Mondo, il buffone ricompone l’Unità primigenia. È forse per questo che, se il Re avesse ucciso il suo Buffone, avrebbe con questo gesto, delegittimato il proprio potere. (tratto da Esonet.it)

FOTO1500