conosci te stesso

Prova a conoscere te stesso. Non lasciare che gli altri facciano la strada per te. La tua strada è solo tua. Altri possono camminare accanto a te, ma nessuno può camminare per te. Possano tutti gli esseri essere senza limiti, senza fine, condividere i meriti appena fatti o qualsiasi altro merito che ho fatto. Quelli che amo e quelli che sono gentili con me – a cominciare da mia madre e mio padre – che ho visto o che non ho mai visto – e altri indifferenti o ostili. Esseri appartenenti al cosmo: i tre regni, le quattro forme di rinascita con cinque, uno o quattro aggregati che vagano da una dimensione all’altra; Se conoscono questa dedizione al merito, possono gioire – e se non lo fanno, lascia che gli dei li informino. Possano tutti gli esseri vivere sempre felici, liberi dall’animosità. Possano raggiungere lo stato di serenità e le loro speranze diventano realtà. Possano i deva e i naga di grande potere, nello spazio o sulla terra, godere di questo merito e proteggere per sempre gli insegnamenti del Buddha! Bisogna prendere coscienza che ogni dettaglio è importante: le cose a cui devi smettere di prestare attenzione. Prima inizia ad avere un controllo psicofisico. Devi controllare i tuoi sensi. Come impariamo questo, la natura della mente è la dispersione. Per avere l’adikhara dobbiamo aver concentrato la concentrazione, e per ottenere questo, bisogna obbedire al Maestro. Se qualcuno vuole iniziare il processo di yoga, prima inizia spazzando le foglie secche del laghetto. Tieniti fermo come Ramana Maharishi, qualunque cosa accada per entrare in samadhi. Ho un ostacolo karmico, a causa del contatto troppe persone nella mia vita. Ma non ho mai lasciato certi oggetti di controllo sensoriale. C ‘ è un motivo fondamentale e principale: controllare la fame e il sonno, e impiegare la vita nell’azione intellettuale. Avere gñyana è la conoscenza nella pratica: l’esercizio della mente intellettiva, la memoria, ecc. Altrimenti, se rinunci ad avere un lavoro intellettuale, la mente dimenticherà, e ci sarà solo memoria sensoriale. La risposta psiconervosa e psicobiologica ne saranno colpiti, quando arriverà la malattia. La grande lezione è smettere di avere paura: per fermarla bisogna liberare l’attaccamento. Se vuoi coltivare vairagya, devi forza i tuoi sensi, imparare a stare freddo, devi avere pazienza, titiksha, cioè la tua mente non dovrebbe funzionare secondo le coppie degli opposti. (Swami Shankaratilaka) All’inizio del cammino spirituale, la risposta al richiamo del Sé superiore prende la forma di un predominante interesse-di-sé, che poi, in seguito alla pressione dell’anima e delle circostanze, diventa quello che è stato definito interesse-di-sé illuminato. Ciò accade quando il ricercatore scopre l’interdipendenza profonda tra sé e gli altri individui, e tra gruppi, nazioni e razze; mutano allora la sua visione del disegno complessivo della vita e il senso del suo personale stare al mondo. Si origina in lui la tensione al lavoro alchemico interiore di “mutazione del piombo in oro”; o, secondo l’espressione di Aurobindo, di una lenta e graduale “trasformazione dell’energia in coscienza”. L’iscrizione del tempio di Delfi, “Conosci te stesso”, diventa necessariamente il motto di ogni ricercatore, diventato “entronauta” allo scopo di migliorare i suoi strumenti, fisici, emotivi, mentali. Comincia, così, il “risveglio”: Il primo passo è accorgerci di non essere consapevoli… Rendendoci conto di vivere nell’incoscienza si comincia a sentire la necessità di acquistare maggiore consapevolezza, di “risvegliarsi” e si lotta per uscire dall’oscurità e dalla nebbia. (P. D. Ouspensky, La quarta via) Svilupperemo gradualmente da noi stessi, come il baco, il “filo di seta” che ci collega all’anima; rafforzati e purificati dal lavoro su noi stessi, che ci consentirà di diventare demiurghi del nostro mondo emotivo e mentale, potremo far vibrare la nostra personale nota nella sinfonia dell’Universo: Un tamburo può produrre innumerevoli suoni. Alcuni ci spaventano; altri ci fanno danzare. Se vogliamo essere padroni di tutte queste emozioni, dobbiamo diventare il tamburino. (Vinoba Bhave, Il Sé e il Supremo). Anche Sartre è convinto che l’uomo debba “inventare sé stesso” ed Emerson afferma: “Costruisciti dunque il tuo stesso mondo” (Nature). In un aneddoto chassidico, Rabbi Sussja, prima della morte afferma: “Nell’aldilà non mi si chiederà: “Perché non sei stato Mosè?” ma mi si chiederà: “Perché non sei stato Sussja?”. Sul Sentiero, l’uomo opera delle trasmutazioni, diventa cosciente della meccanicità del vivere automatico e inconsapevole, e dei condizionamenti della natura inferiore; rinuncia all’orgoglio personale, gradualmente e con fatica, poiché, come dice Aurobindo, “il nodo di ostinazione dell’ego è molto duro a morire”. Collabora con le forze evolutive e, anche se ha dei periodi di oscurità, sente che essi saranno seguiti da chiarificazioni e realizzazioni. Soffre ancora, ma la sua sofferenza è senza disperazione, senza angoscia, poiché ora ne conosce la causa e l’utilità, e sa che essa può sprigionare Luce: La pratica della vita spirituale incomincia con l’affinare la percezione che avete del vostro essere interiore, ed è normale che non siate tanto felici di ciò che scoprite… In quella sua delusione, (l’aspirante) si crede più debole di quanto non sia, quando invece quella presa di coscienza è proprio l’inizio della sua forza. Le difficoltà che incontra nell’allontanarsi dal suo vecchio modo di vivere, sono la prova che egli sta cercando di muoversi, di fare degli sforzi. E se soffre, è perché inizia finalmente a sentire, a vivere e a dirigersi verso un mondo nuovo. (Omraam Mikhaël Aïvanhov) Al lavoro per la conoscenza di sé, si riferiscono alcune considerazioni di Roberto Assagioli, psicologo e teosofo, fondatore della Psicosintesi, riguardo al momento in cui l’uomo decide di prendere in mano la propria vita e di perfezionarsi per poter diventare artefice del proprio destino e “conduttore di Luce”. Egli afferma che la funzione dell’Io nei confronti delle “subpersonalità”- che costituiscono quel repertorio di ruoli e parti con cui ci muoviamo nella vita – è quella di “identificarsi” e “disidentificarsi” secondo il contesto e la situazione in cui si opera: …in pratica le subpersonalità agiscono come esseri differenti con caratteristiche molto diverse e anche opposte. Perciò è necessario divenire consapevoli dell’esistenza di queste subpersonalità in un tutto organico più ampio, senza reprimere nessuna delle caratteristiche utili. (Dunque) …non sopprimerle né tiranneggiarle, bensì dirigerle, fare recitare ad ognuna la parte giusta che le è dovuta. (R. Assagioli, L’atto di volontà) La disidentificazione permette il distacco tramite l’osservazione. Finché ci identifichiamo con i nostri personaggi interiori, questi ci fanno recitare inconsapevolmente “parti” e “ruoli”; quando invece ci disidentifichiamo da essi per agire dal nostro centro unificatore, possiamo osservarli e dirigerli, divenendo finalmente noi stessi i “registi” della nostra storia. Assagioli indica le tappe successive della trasformazione di sé che ogni aspirante attraversa; il processo di auto-educazione è così riassumibile: 1.Conosci te stesso. Se si intende percorrere il Sentiero, è necessario che si affronti la conoscenza, lucida e spregiudicata, delle varie “parti di sé”. Per tale impresa sono richiesti oggettività, coraggio, umiltà: – oggettività: guardarsi dal di fuori, senza vittimismi, né autodenigrazioni, né idealizzazioni, né narcisismi; – coraggio: per abbandonare le false immagini che ciascuno ha di sé (la maschera), spesso tenute in piedi da pigrizia, paura, pensiero-routine, è necessaria la qualità del cuore (il termine “cor-aggio” deriva appunto da cor, cuore); – umiltà (da humus, terra): accettare le parti-ombra, quelle che non ci fanno onore, riconoscendo, tuttavia, le proprie qualità di luce. 2.Padroneggia te stesso. Alla conoscenza di sé si affianca, e poi segue, la padronanza di sé; per poter essere realmente utili è necessario che si diventi prima padroni a casa propria; l’emotività non va certamente repressa né rifiutata, ma compresa e controllata. L’esperienza quotidiana ci dimostra che nulla di “bello e nobile” può compiere chi segue ogni richiamo dell’istinto o dell’emozione. L’emotività e la sensibilità ci permettono di relazionarci con l’interiorità dei fratelli; sono “strumenti di contatto” da usare a fini evolutivi, per meglio comprendere e meglio amare; se si manifestano con caratteri egocentrici, eccessivi o morbosi, diventano ostacoli e, a volte, difficoltà distruttive. 3.Trasforma te stesso. Saranno a questo punto possibili lo scioglimento del “groviglio dell’ego” e la trasmutazione di sé, che rappresentano un servizio, il nostro contributo alla trasformazione del nostro mondo in un luogo di operatività gioiosa al servizio della Luce. Potremo così – tutti – “fare la nostra parte” al servizio del Tutto. (Tratto da: “Sul Sentiero I: Dalla divina inquietudine alla Gioia” di M. Carelli) Fonte del: http://www.fisicaquantistica.it/esoterismo/conosci-te-stesso