8 dicembre 1980. L’uccisione di John Lennon


La sera dell’8 dicembre 1980 John Lennon veniva ucciso a New York da quattro colpi di pistola sparati da Mark Chapman, un ragazzo venticinquenne affetto da disturbi mentali, che lo attendeva di fronte al Dakota Building. Proprio nel luogo in cui nello stesso pomeriggio, Lennon gli aveva autografato una copia dell’ultimo disco, Double Fantasy (uscito tre settimane prima). Già, perché fu la mano di un fan, che si sentiva “tradito” (dal pensiero politico e religioso del suo ex idolo) a premere il grilletto per quella morte violenta. Moriva così a quarant’anni una delle icone del Novecento e il volto più celebre della storia della musica. 
Ai tempi, nel Guerin Sportivo c’era una rubrica molto amata dai lettori chiamata “Play Sport&Musica”, in cui si parlava di dischi, hit parade, televisione, cinema. È in quello spazio che siamo andati a leggere come veniva trattata l’assurda fine di John Lennon. Un’uccisione che fatto calare drammaticamente il sipario su un’epoca, proprio quando un’altra – gli anni Ottanta – stava cominciando. Ecco qua sotto l’articolo, firmato da Simonetta Martellini e Gianni Gherardi.
Giovanni Del Bianco
LIVERPOOL, 6 LUGLIO 1961. «C’erano una volta tre ragazzini chiamati John, Giorgio e Paul decisero di mettersi insieme perché erano proprio i tipi da stare insieme. Quando furono insieme si chiesero: ma dopotutto per fare che stiamo insieme? Così, improvvisamente, preso su tre chitarre ricominciarono fare rumore…». Così iniziava l’articolo dal titolo “Divagazioni sulle dubbi origini dei Beatles”, che John Lennon scrisse per il Mersey Beat, primo numero, prezzo tre pence.
UN AMICO. Il Mersey Beat fu il primo giornale a interessarsi del neonato gruppo inglese. Bill Harry era un vecchio amico dei quattro e quando decise di lanciare la pubblicazione i gruppi più in voga erano Cass & The Cassanovas, Kingsize Taylor & The Dominoes, The Swinging Blue Genes e Rory Storm & The Hurricanes (in cui tra gli altri, suonava Ringo Starr). Bill, però, fin dall’inizio volle promuovere i Beatles, e non soltanto per un fatto di amicizia: aveva assistito a molte delle loro esibizioni e trovava entusiasmante la loro musica. Il Mersey Beat, dunque, fu il primo veicolo promozionale del quartetto, che ne divenne pian piano assoluto protagonista.

PERCHÉ BEATLES. Sempre Lennon, che avrebbe continuato collaborare con la pubblicazione dietro lo pseudonimo di Beatcomber (parafrasi del noto Beachcomber, umorista del Daily Express), giustificava così la scelta del nome del gruppo: «Come arrivarono a quel nome? Ebbene, ve lo racconteremo. Fu come una visione: un uomo apparve su un piedistallo fiammeggiante e disse loro: vi chiamerete Beatles, con la A. Grazie, Signor Uomo, dissero i quattri ragazzi ringraziandolo». Beatles con la A per specificare che non erano semplici scarafaggi (beetles), ma figli dell’era beat.
I VERI INIZI. Al di là delle cronache surrealistiche di John, la realtà fu leggermente diversa: studente non molto brillante, grazie a una chitarra John Lennon si improvvisò musicista e con i compagni della Quarry Bank High School di Liverpool formò un gruppo, i Quarrymen. Era la fine degli anni Cinquanta e proprio in quel periodo avvenne l’incontro storico tra John e Paul, due temperamenti simili ma soprattutto due chitarre. I Quarrymen acquistavano via via più credibilità e non poté non giovare loro un altro incontro, quello con il vero musicista George: cominciò così un sodalizio che avrebbe fatto storia, non solo musicale. Il batterista, allora, era Peter Best. L’esplosione dei Beatles fu pressoché immediata.

VENTENNIO. Proprio nel periodo in cui ci si preparava a solennizzare i vent’anni della formazione dei rivoluzionari Beatles, è scomparso colui che ne aveva fortemente caratterizzato l’attività, nel bene e nel male: l’attualità prende il sopravvento sulle celebrazioni e un’epoca, con la morte di John è definitivamente chiusa. Era una speranza senza fondamento, ma pur sempre una speranza, quella di rivedere i quattro insieme, magari per una volta sola: la tragedia mette la parola fine a un’avventura cominciata vent’anni fa, dalle chitarre di tre ragazzi allegri, spensierati (allora), musicalmente dotati e con una grande passione in comune, il rock’n’roll.
PERSONALITÀ COMPLESSA. Lennon-McCartney: un binomio che ha firmato la maggior parte dei successi del gruppo. Ma chi era John Lennon? Nelle foto che li ritraggono nei tempi lontani dell’esordio, è quello che sorride di meno: indice di una personalità complessa, come avrebbero poi dimostrato i suoi exploit letterari, che i suoi fan non gradiscono affatto. Così Bill Harry descrive il suo primo incontro con John: «Lo notai subito, quando entrò impettito nella cantina che eravamo soliti frequentare con alcuni amici. A quel tempo, i ragazzi del college si vestivano tutti allo stesso modo, rifugiandosi in una nuova moda per sfuggire alle convenzioni. John no: stava lì, dritto come un fuso, un particolare taglio di capelli, gli occhiali con una pesante montatura nera e un giubbotto da teddy-boy. Un po’ scostante, pensai».
IL POETA. E fu ancora Bill Harry a portare alla luce le qualità di poeta di John. «Gli dissi che avevo sentito dire che scriveva poesie. Imbarazzato, John mugugnò qualcosa. Gli feci capire, allora, che ero realmente interessato a leggere ciò che aveva scritto. Mi guardò, mise una mano in tasca e tirò fuori un pezzo di carta con gli ultimi versi composti. Erano totalmente diversi da ciò che mi sarei aspettato: non avevano niente a che fare con l’American Beat Generation, modello degli studenti dell’epoca. La poesia di John, farsesca descrizione di un contadino, era fresca e originale nella sua follia. Fu una rivelazione e da quel momento in poi guardai John con occhi diversi. Il suo senso dell’umorismo era alquanto surreale e cominciai a far caso alle stranezze e allo spirito della sua personalità, delle sue azioni, di tutte le sue attività».
Considerato l’intellettuale del gruppo, John non trovò tuttavia il consenso del pubblico come scrittore e poeta. In un periodo in cui l’etichetta Beatles costituiva una miniera d’oro, il suo libro “In His Own Write” (tradotto da noi, “Vivendo cantando”) passò quasi inosservato.

YOKO ONO. Personaggio scomodo fin dai primi anni (fu lei a causare alcune gaffe, anche nei confronti della famiglia reale), col passare del tempo, Lennon, si rivelò il più complicato dei quattro: intransigente, ipercritico, tornò dall’esperienza indiana (vissuta insieme con il serafico George) ancora più scettico e introverso. Si distaccò definitivamente dall’immagine di baronetto-bravo-ragazzo quando, abbandonati la moglie Cynthia e il figlio Julian, annunciò ufficialmente la sua storia d’amore con la giapponese Yoko Ono: la conferenza stampa la tennero dal loro letto, in cui rimasero senza eccessive inibizioni per alcuni giorni, offrendosi alla curiosità del pubblico anche nei momenti più intimi.
LA FINE. Tanti i motivi che hanno portato allo scioglimento del gruppo: la morte di Brian Epstein, per prima, tolse ai quattro la guida che aveva aggiunto un’immagine giusta a musicisti eccezionali. L’ingresso di Yoko Ono nel clan, poi, con la conseguente esclusione di Cynthia, aveva creato tensioni tra i componenti, anche a causa dei rapporti che erano sempre intercorsi tra le quattro mogli. Non pochi imputarono proprio a John, il fondatore, la colpa della drastica separazione. Questi potrebbero essere, tuttavia, i motivi occasionali. I dieci anni trascorsi dal periodo d’oro degli esordi avevano profondamente mutato i quattro Beatles, ciascuno dei quali aveva vissuto diversamente le crisi esistenziali derivanti dallo spropositato successo. Musicalmente, solo Ringo poteva temere le conseguenze di uno scioglimento, ma se la cavò ugualmente. Gli altri ebbero modo di dimostrare che l’epopea dei Beatles fu vera gloria. Il rimpianto di coloro che li hanno amati, di coloro che hanno vissuto la musica dei quattro di Liverpool come una splendida colonna sonora di dieci anni di vita, assume oggi un valore definitivo: la brutale e questa volta irrimediabile fine dei Beatles è arrivata la sera dell’8 dicembre, a New York, Central Park.
(Guerin Sportivo 1980)

L’omicidio di John Lennon avvenne davanti al Dakota Building di New York l’8 dicembre 1980. Quel giorno Mark David Chapman sparò quattro colpi alla schiena dell’ex Beatle e, mentre questi giaceva morente tra le braccia della moglie Yoko Ono, l’assassino invece di scappare si mise a leggere `Il giovane Holden´. Il custode del Dakota Building gridò a Chapman: «Lo sai che cosa hai fatto?». L’uomo rispose con lucida freddezza: «Sì, ho appena sparato a John Lennon». La dinamica dell’omicidio più celebre della storia della musica è stata oggetto di libri e film. Quando Lennon uscì di casa, Chapman gli strinse la mano e si fece firmare un autografo sulla copertina di `Double Fantasy´, suo ultimo album. Questa scena fu immortalata dal fotografo Paul Goresh. L’assassino aspettò poi la sua vittima per circa quattro ore. Alle 22.52, vedendo il musicista rientrare insieme alla moglie Yoko Ono, Chapman gli sparò contro cinque colpi di pistola di cui quattro andarono a segno e uno gli trapassò l’aorta. Gli agenti accorsi sul luogo del delitto si accorsero subito che le ferite riportate da Lennon erano molto serie e decisero di non aspettare l’ambulanza ma di caricare il ferito sull’auto di servizio per condurlo al vicino ospedale Roosevelt Hospital dove John Lennon fu dichiarato morto alle 23.07. Chapman fu arrestato senza opporre resistenza. La morte dell’ex leader dei Beatles a soli 40 anni è motivo di grande rammarico perché potenzialmente avrebbe potuto regalarci ancora moltissimi capolavori. Basti pensare che la rivista `Rolling Stones´ colloca John Lennon al quinto posto nella lista dei 100 cantanti più importanti. Ben tre brani di Lennon solista – `Imagine´, Give Peace a Chancè e `Instant Karma!´ – sono inseriti nelle Rock and Roll of Fame. Chi invece si è rammaricato della tragica scomparsa di Lennon per motivi diversi e insospettabili è l’ex compagno dei Beatles, Sir Paul McCartney, che ha confessato nel luglio scorso come la sua prima ed immediata reazione alla notizia dell’assassinio fu di «frustrazione» perché la sua uccisione ne aveva fatto un martire «elevandolo al livello di James Dean e anche oltre». Il 73enne co-fondatore e autore di alcune delle più belle canzoni della storia della musica, in un’intervista alla rivista americana `Esquire´ ha rivelato: «Quando John fu colpito a morte, a parte il puro orrore, capii subito ciò che sarebbe rimasto: Ok, ora John è un martire. Un Jfk (John Fitzgeral Kennedy, il presidente assassinato nel 1963, ndr). E ho iniziato a sentirmi frustrato perché la gente avrebbe iniziato a dire, `Beh i Beatles erano lui´ e io e George (Harrison) e Ringo (Starr) saremmo scomparsi». Sull’omicidio di John Lennon, killer e dinamica dell’assassinio, non ci sono dubbi né `lati oscuri´. Eppure sulla figura di Mark David Chapman si continua a scrivere tanto e, nella logica del complotto legata alla morte prematura e violenta di tutte le star dello spettacolo (da Marylin Monroe a Jimi Hendrix, da Elvis Presley a Jim Morrison), anche per l’assassino di Lennon ha successo una letteratura di controinformazione.

E così c’è chi esprime la convinzione che Chapman in realtà fosse un assassino della Cia a cui era stato fatto il lavaggio del cervello e `programmato´ a uccidere Lennon da elementi del governo statunitense. La teoria è dettagliata e affascinante: nel 1976 Chapman era alle Haiwaii, in un centro per agenti segreti della Cia e delle forze speciali, dove disagi mentali e ospedalizzazione lo portarono a cambiare diversi lavori. Durante questo periodo la Cia ipnotizzò e drogò Chapman nell’ambito del programma Mk-Ultra, secondo quanto rivelato al Senato nel 1975, con tanto di lavaggio del cervello per fargli uccidere Lennon, che l’Fbi effettivamente spiava insieme alla moglie Yoko Ono per le sue simpatie di sinistra e il suo impegno antimilitarista. Recitava la parte del folle: «Mi sembrò l’unico modo per liberarmi dalla depressione cosmica che mi avvolgeva. Ero un nulla totale e il mio unico modo per diventare qualcuno era uccidere l’uomo più famoso del mondo, Lennon», spiegò in una celebre intervista. «A otto anni ammiravo già i Beatles, come tanti altri ragazzini. Ma non ho mai pensato che Lennon fosse mio padre. E si sbaglia anche chi sostiene che mi credevo `il vero Lennon´ o che lo amavo alla follia – spiegò ancora -. Mi sentivo tradito, ma a un livello puramente idealistico. La cosa che mi faceva imbestialire di più era che lui avesse sfondato, mentre io no. Eravamo come due treni che correvano l’uno contro l’altro sullo stesso binario. Il suo «tutto» e il mio «nulla» hanno finito per scontrarsi frontalmente. Nella cieca rabbia e depressione di allora, quella era l’unica via d’uscita. L’unico modo per vedere la luce alla fine del tunnel era ucciderlo». Chapman fu accusato di omicidio di secondo grado (secondo la legge statunitense) e, dichiaratosi colpevole, fu condannato alla reclusione da un minimo di 20 anni al massimo dell’ergastolo (quindi meno della possibile pena massima applicabile, che consisteva in almeno 25 anni). Nel 2000, scontato il minimo della pena, si è visto rifiutare la richiesta di scarcerazione sulla parola. Dopo 30 anni trascorsi nel carcere di Attica, nel 2012 Chapman è stato trasferito in quello di Wende, sempre nello Stato di New York. Il 23 agosto 2014, per l’ottava volta, la commissione giudicante dello stato di New York ha negato a Chapman la libertà condizionata.

Chapman, mentre svolgeva un incarico di consulente per l’infanzia nei campi profughi della World Vision dal Laos a Beirut, finì nelle grinfie proprio di quel tipo di agenti sotto copertura che si aspetta di trovare in queste zone di guerra, cioè la CIA. Il soggiorno di Chapman a Beirut coincise con la presenza di squadre di sicari della CIA, mentre nel 1976 lo si vide alle Haiwaii, in un centro per agenti segreti della CIA e delle forze speciali, dove disagi mentali e ospedalizzazione lo portarono a cambiare diversi lavori. Si ipotizza che durante questo periodo la CIA ipnotizzò e drogò Chapman nell’ambito del programma MK-ULTRA, secondo quanto rivelato al Senato nel 1975, con tanto di lavaggio del cervello per fargli uccidere Lennon. Sebbene Chapman fosse da ricoverare in manicomio, nessuna scartoffia gli impedì di comprare una pistola e nessun metal detector lo fermò quando la portò sulla terraferma. Non si sa come, questo apatico folle nell’ottobre del 1980 disponeva di abbastanza soldi per andare in Svizzera e in Georgia, e dalle Haiwaii a New York e ritorno, per quella che fu una spedizione killer fallita in cui riuscì a resistere al “padrone interiore”. In dicembre, però, gli si arrese e uccise Lennon.

Allora, perché il governo statunitense avrebbe voluto vedere morto un cantante come Lennon? Perché John Lennon era molto di più. Era un attivista senza peli sulla lingua, che manifestava contro la guerra in Vietnam, marciava per l’IRA e per la CND(campagna per il disarmo nucleare) e appoggiava gli operai dei cantieri navali in sciopero. Per il governo Nixon, chi era contro la guerra era contro l’amministrazione presidenziale. E Lennon, con ogni probabilità in grado di “far uscire allo scoperto un milione di manifestanti contro la guerra in qualunque città nel giro di 24 ore”, era una grave minaccia per la capacità di mobilitazione alla guerra da parte dell’amministrazione Nixon. Il capo dell’FBI J. Edgar Hoover scrisse sul dossier di Lennon : “TUTTI GLI ESTREMISTI SONO DA CONSIDERARSI PERICOLOSI”. I federali misero sotto controllo il telefono di Lennon e lo pedinarono ovunque. Nel 1972 Lennon dichiarò: “Se succede qualcosa a Yoko e a me, non sarà un incidente”. Alcune inquietanti “coincidenze” nelle sue canzoni. Secondo un portavoce della casa discografica di Lennon, la Parlophone, alcune canzoni di Lennon contengono indizi “inquietanti” che ne facevano presagire la morte. Qualcuno ha voluto trovare un significato in tal senso nell’edizione USA del “Magical Mystery Tour” dei Beatles, su cui si vedeva una foto di Lennon accanto a un cartello su cui era scritto: “The best way to go is by M E DC”, le iniziali di Chapman. Il testo di Helter Skelter dei Beatles ispirò in qualche modo Charles Manson(nella foto insieme ad altri componenti della “The Family”, la comune hippy da lui fondata, nel loro “stabilimento” a Spahn Ranch ) quando assassinò brutalmente Sharon Tate, che era incinta, il cui marito, il regista Roman Polanski, due anni prima aveva girato il film Rosemary’s Baby sulla nascita dell’Anticristo proprio nel Dakota Building di New York!. Ancor più inquietante quanto dichiarò la CNN nel 2000, cioè che Lennon a quanto pare aveva previsto la propria morte nella canzone del 1980 Help Me to Help Myself: “L’angelo della distruzione continua a braccarmi”. e “Oh Signore, aiutami”. (J. McConnachie e R. Tudge)

BUFFALO – Meglio tardi che mai. A quasi 34 anni dall’omicidio dell’amato Beatle John Lennon, arriva il pentimento del killer, Mark David Chapman, oggi 59enne. Oggi Chapman, sta scontando l’ergastolo nel penitenziario “Wende Correctional Facility” di Buffalo, nello Stato di New York, si dice pentito: “Sono stato un’idiota” ha affermato davanti alla commissione chiamata a decidere sulla libertà condizionata, finora sempre negata. L’uomo ha sottolineato di aver riscoperto la fede religiosa in carcere e di essersi reso conto che si può scegliere tra Cristo e il crimine. “All’epoca – si legge nella trascrizione rilasciata dalla commissione – non pensavo ad altri che a me. Mi dispiace di aver causato tanto dolore. Mi dispiace per essere stato un tale idiota e aver scelto la gloria sbagliata”. Le parole di pentimento non sono state sufficienti, dato che la corte gli ha nuovamente negato la libertà condizionata perché c’è ragione di credere che Chapman possa essere recidivo e quindi violare di nuovo la legge. “Tante, tantissime persone lo hanno amato – ha aggiunto Chapman, parlando di Lennon -. Era un uomo grandioso e talentuoso e loro stanno ancora soffrendo per lui” e ha ammesso: “Non è un crimine come un altro”. Chapman ha anche raccontato che continua a ricevere lettere dai fan del cantante inglese, feriti e addolorati dal suo folle gesto, nonostante siano passati ben 34 anni.