Maya, la grande illusione

“La sostanza materiale nella sua totalità detta Brahman, è la fonte della nascita, ed è questo Brahman che Io feconda rendendo così possibile la vita di tutti gli esseri viventi, o figlio di Bharata” (Bhagavad-gita 14-III) Maya è una di quelle parole sanscrite, come avatar, karma, dharma o samsara, che fanno ormai parte del nostro vocabolario comune. Per Maya, si intende generalmente l’illusione del mondo materiale, ma è un concetto molto più profondo che va al di là della mera traduzione letterale ed è uno delle nozioni della teologia induista tra le più complesse. Secondo la teologia Vedanta Dvaita, la capacità illusoria di Krishna, si manifesta in Mayadevi conosciuta semplicemente come “Maya”, che ha il compito di far apparire normale la vita materiale. Potremmo paragonare Mayadevi ad un programma cosmico, che crea l’illusione di un mondo materiale “normale”. Maya è quindi la normalità che si fonda nelle azioni che noi eseguiamo ogni giorno, e che si radicano in quella che noi chiamiamo razionalità. Senza l’energia di Maya, l’universo sarebbe in constante disordine. Quindi Maya è reale ed è necessaria come la gravità che ci fa rimanere ancorati a terra, possiamo quindi dire che Maya è la gravità psichica, che aiuta tutti gli esseri ad agire senza dissoluzioni nel mondo materiale. Mayadevi ci ancora nell’universo materiale, che è transitorio ma reale come lei stessa. Il compito di Mayadevi è quello di indurre le anime incarnate ad identificarsi nel mondo materiale, inducendo uno stato d’illusione psichica, per faci credere che la vera identità sia quella fisica. Questo stato vibratorio che induce a identificarci con quello che c’è attorno, si chiama avaranatmika sakti. Quest’energia incarna i desideri materiali nel cuore affinché le azioni nel mondo manifesto possano compiersi. Oltre la avaranatmika sakti c’è un’altra energia che opera in Mayadevi ed è chiamata praksepatmika sakti. Questa potenza permette a Maya di ancorare nel mondo materiale l’anima spirituale e di immergerla in esso. L’energia di praksepatmika sakti, tende a spingere le anime spirituali lontano dalle attività religiose per mezzo di argomentazioni contrarie, operando quindi in antitesi con le forze spirituali. I tentativi degli esseri incarnati di normalizzare le proprie sofferenze, nel mondo materiale, sono anch’essi sintomi della contaminazione causata dalle potenze avaranatmika e praksepatmika di Mayadevi. Le potenze di Maya, dominano tutto l’universo materiale, neppure Brhama e Sarasvati ne sono immuni, solo il Paramatma è al di fuori di essa, essendo egli stesso all’origine della personificazione illusoria di Maya. Se ci facciamo dominare dalle potenze di Maya, possiamo smarrire la nostra vera natura trascendentale. E’ quindi importante, la pratica costante dello yoga, del tantra e delle altre discipline spirituali prescritte dai Veda, per essere sempre svegli e consapevoli di questa forza e non farci dominare da essa, se questo accade cadiamo nell’ignoranza. Nel momento in cui il velo di Maya viene sollevato, si ottiene l’Autorealizzazione: in questo caso il Sé vede la realtà illusoria o mentale di tutto quello che lo circonda. Nel Mondo come volontà e rappresentazione A. Schopenhauer introduce il concetto di Velo di Maya che mutua dai Veda, complesso di testi sacri da cui prende nome la più antica religione delle popolazioni arie dell’India (vedismo), da cui successivamente si svilupperà l’induismo. Ma che cos’è il Velo di Maya? È il velo dell’illusione, che ottenebra le pupille dei mortali e fa loro vedere un mondo di cui non si può dire né che esista né che non esista; il mondo, infatti, “è simile al sogno, allo scintillio della luce solare sulla sabbia che il viaggiatore scambia da lontano per acqua, oppure ad una corda buttata per terra ch’egli prende per un serpente”. Per comprenderne pienamente il significato, è necessario tornare alla filosofia di Kant, che Schopenhauer conosce bene e dalla quale riprende la differenza basilare tra fenomeno e noumeno, ovvero tra la realtà come appare e la realtà in sé. La realtà fenomenica, per Kant, è l’unica conoscibile dall’intelletto umano, attraverso le forme a priori di spazio e tempo e le categorie che, opportunamente utilizzate dall’Io Penso, danno forma al materiale grezzo delle sensazioni. Il mondo fenomenico tuttavia, rimanda ad un noumeno (realtà in sé) che resta inconoscibile all’uomo, situazione che lo stesso filosofo descrive quando parla dell’isola della conoscenza. Nel riprendere questi due concetti, il filosofo di Danzica li carica di valori negativi considerando la realtà fenomenica come velo di Maya (apparenza illusoria), che si manifesta attraverso le forme a priori di spazio, tempo e causalità che, come dei vetri sfaccettati, ci offrono una visione delle cose si deforme, e pertanto la rappresentazione deve essere ritenuta un inganno e la vita simile ad un sogno. Tra la vita ed il sogno il confine è sottile a tal punto che Schopenhauer scriverà “vita e sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare“. Tuttavia, al di là di essa, esiste la realtà vera, sulla quale l’uomo deve interrogarsi. Il noumeno che per Kant era la realtà inaccessibile per l’intelletto umano e come tale un concetto limite, diventa per Schopenhauer una realtà accessibile, anzi, è necessario che l’uomo vi acceda per comprendere l’essenza delle cose, ma come si può fare? Squarciando appunto il Velo di Maya, andando oltre la nebbia delle illusioni del mondo fenomenico, utilizzando il proprio corpo come chiave di accesso alla volontà. Riflettendo su me stesso, infatti, sono in grado di percepirmi come realtà fenomenica, e quindi sottoposta alle regole del mondo fenomenico, ma nello stesso tempo mi rendo conto che non sono un semplice oggetto tra gli oggetti, ma sono anche qualcosa di più, sono un’energia vitale, sono una forza inappagabile, sono appunto Volontà, termine che il filosofo utilizza per indicare la realtà noumenica. La mia vera e autentica essenza è la volontà, inconscia, cieca, irrazionale e inappagabile e come lo sono io, riconosco per analogia che lo sono tutte le cose, a diversi livelli, e che quindi l’essenza di tutta la realtà è la Volontà. Da qui il titolo Il mondo come volontà e rappresentazione. La Volontà, quella forza oscura che anima le nostre azioni, quella che Freud chiamerà inconscio e che per Nietzsche sarà lo spirito apollineo, nel suo essere inappagabile e senza uno scopo ben preciso, condanna l’uomo al dolore, all’insoddisfazione fisica e morale. Eloquente è, a tal proposito, la metafora del pendolo che Schopenhauer utilizza per descrivere la condizione esistenziale dell’uomo, “un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia passando attraverso il breve intervallo del piacere”. Noia e dolore sono gli stati permanenti ai quali l’uomo è condannato e il piacere è solo una chimera, un palliativo temporaneo, un obbiettivo illusorio. Hari Om Tat Sat