i misteri del buddismo tantrico

ORIGINI DEL TANTRA BUDDISTA
A partire dal VII secolo compaiono in India le scuole tantriche buddiste fondate da maestri molto particolari chiamati mahasiddha. Queste nuove scuole sorgono al di fuori delle istituzioni buddiste, ma ne risentono fortemente l’influenza ed interagiscono con le grandi università monastiche quali Nalanda, Valabhi, Pullahari, ecc., dove i monaci erano impegnati soprattutto negli studi approfonditi della sterminata letteratura filosofica della Prajnaparamita, dell’insegnamento di Nagarjuna (scuola Madyamika), dell’erudizione di Asanga (scuola Cittamatra), della logica buddista di Dharmakirti e dei numerosi commentari dei pandita (eruditi) del Grande Veicolo (Mahayana). Il tantrismo s’insinua segretamente tra i buddisti laici, ma anche tra i monaci e gli eruditi. Dunque le vie tantriche emergono come un’alternativa alla classica didattica buddista, ma pur sempre all’interno del sentiero Mahayana. Il termine Tantra (derivante dal termine sanscrito tan – estendere e tra – salvare) significa “continuità” o “estensione salvifica” nel senso che è in grado di espandere la conoscenza costituendo un “continuum” evolutivo ininterrotto fino al riconoscimento della natura pura e vuota intrinseca ad ogni fenomeno dell’esistenza. Il sentiero tantrico viene chiamato sia Vajrayana, cioè il “Veicolo del diamante” che ha la natura incorruttibile e indistruttibile di chi realizza la vacuità del sé e dei fenomeni, che Mantrayanao “Veicolo del mantra segreto”, poiché fa uso dei mantra, o formule magiche, che in queste nuove scuole assumono una rilevante importanza oltre alle visualizzazioni delle divinità di meditazione e ai gesti simbolici rituali denominati “mudra”. Un certo numero di adepti e adepte tantrici mostrarono una condotta di vita anticonformista e libera dalle convenzioni, spesso adottano pratiche trasgressive e orrifiche quali il cibarsi di carni corrotte o di viscere, oppure l’adornarsi di crani ed ossa umane: secondo la loro visione il vero yogi doveva saper andare oltre il bene ed il male, il bello ed il brutto per raggiungere lo stato di equanimità e imperturbabilità. Obbiettivo principale è la trasformazione della mente tramite una mutazione alchemica in grado di convertire in virtù anche le attitudini e le passioni più basse quali l’ira, l’attaccamento, la gelosia, ecc., che sono energie presenti in ogni essere e che possono venire indirizzate verso l’attivazione spirituale anziché verso l’esistenza condizionata. L’essenziale non dualità tra samsara e nirvana, asserita dalla scuola Madyamika di Nagarjuna, viene fatta propria dal tantrika (praticante tantrico). Diversi adepti ne focalizzano una interessante interpretazione: se la natura profonda del nirvana non è diversa da quella della trasmigrazione samsarica, ne consegue che tutti gli aspetti del samsara, anche quelli più abbietti, possono essere visti come nirvana. Ogni esperienza dell’esistenza se opportunamente trasformata può divenire quindi un efficace strumento per la realizzazione illuminata.

I TESTI
Il tantrismo fa riferimento ad una categoria di testi esoterici pregni di ritualità che generalmente erano scritti in versi o comunque redatti in un linguaggio criptico detto sandhabhasa (linguaggio crepuscolare), che serviva a due scopi: nascondere il vero senso della dottrina ai non iniziati e suggerire l’inadeguatezza del linguaggio logico nell’esprimere una realtà intuitiva non convenzionale. Il tantrismo non ha né un ordine gerarchico né un numero di testi sacri prestabiliti, ma si dirama in un novero di scuole e di lignaggi spirituali che raccolgono le proprie conoscenze in testi, pratiche meditative e rituali che non comportano l’esclusione di altre. Spesso per comprendere dei testi tantrici occorre conoscerne altri differenti: ad esempio nel tantra di Guhyasamaja (appartenente alla classe dei “tantra maschili”) viene affermato che la sua comprensione può essere chiarita alla luce dei “tantra femminili”, quali ad esempio quello di Cakrasamvara e viceversa. I testi tantrici sono composti dall’esposizione dei rituali d’iniziazione, yoga psichico, mantra relativi alla deità di meditazione, delineano il percorso meditativo che si sviluppa tramite visualizzazioni ed evocazioni, autoidentificazione, l’elaborazione del mandala mistico (la dimora divina) e la pratica del gesto rituale (mudra). Riveste fondamentale importanza la comprensione dottrinale della vacuità, propria della Prajnaparamita insegnata da Nagarjuna, cioè la comprensione dell’assenza di una natura propria del sé e dei fenomeni per cui le deità di meditazione, come tutti i fenomeni, vanno viste come prive di sé e di reale esistenza.
DIVINITÀ TANTRICHE
I Tantra evocano le innumerevoli forme pure di divinità che possono assumere i Buddha Illuminati per beneficiare gli infiniti esseri viventi. Nei testi tantrici viene accordato grande valore allo yoga in tutte le sue differenti accezioni e vengono stabilite le regole dei rituali per le celebrazioni individuali o collettive allo scopo di entrare in comunicazione con le forme divine ed identificarsi con esse indirizzando le pratiche meditative yogiche verso uno scopo gnostico. In altri termini, le deità delle tradizioni popolari vengono trasformate nei simboli dell’ascesi buddista per divenire dimora della manifestazione illuminata vuota di reale esistenza. Le divinità indiane di origine rurale o locale, spesso minoritarie o di frontiera, diventano così rappresentazioni simboliche della prajna (saggezza che realizza la vacuità). Queste divinità in genere mostrano due aspetti: quello terrificante per scongiurare le forze maligne disturbanti e quello pacifico per proteggere il percorso spirituale.

I SIDDHA, MAESTRI DEL TANTRA
Le maestre e i maestri tantrici erano chiamati siddha, cioè i “perfetti adepti”. Costoro apparivano come una sorta di sadhu itineranti che si esprimevano nelle loro lingue popolari e non più in sanscrito, che era una lingua ormai confinata ai soli eruditi. Le intuizioni e gli insegnamenti dei siddha si fondavano sulla cultura religiosa dell’India e non facevano evidenti distinzioni tra shivaiti, visnuiti e buddisti. Essi mostravano che le profonde esperienze mistiche non erano riservate soltanto a pochi dotti, in genere di casta brahmanica, ma si rivolgevano anche a coloro che appartenevano alle caste inferiori, fino ai più infimi. I siddha non erano necessariamente dei maestri dotati di una vasta cultura, ma il loro insegnamento era efficace grazie alla loro spontaneità e alla ricchezza evocativa che sapevano ispirare. I grandi siddha buddisti vennero poi chiamati Mahasiddhae in seguito codificati dalla tradizione indiana e poi tibetana nel numero di ottantaquattro. Dal VII al XIII secolo (con le prime elaborazioni che risalgono al IV – V secolo) diedero origine ad una vasta letteratura tantrica che si diffuse in molte regioni dell’India. I Mahasiddha suggerivano l’uso dei mezzi abili (upaya) uniti alla conoscenza (prajna) per realizzare i frutti del sentiero spirituale nel giro anche di una sola vita, anziché in un numero enorme di vite come viene insegnato nella tradizione buddista classica.
IL TANTRA DI KALACHAKRA
Il Kalachakra (ruota del tempo) è l’ultimo insegnamento tantrico ad apparire in India verso la fine del X secolo anche se, secondo la tradizione, la sua origine è ben più antica e viene fatta risalire al Buddha storico Sakyamuni. Kalachakra rappresenta l’unità della vacuità e della compassione, della saggezza e del metodo. Kala è il tempo, il mezzo e la compassione universale che conosce; Chakra è la ruota, il conoscibile, la saggezza, la vacuità. In questo contesto viene data importanza al tempo esterno quale movimento dei pianeti, delle costellazioni e degli universi nelle varie ripartizioni temporali in relazione al tempo interno scandito dalla respirazione e dal movimento del prana nei chakra. Si distingue dagli altri tantra per il suo carattere esplicativo, costituisce una vera e propria chiave filosofica buddista e delinea dettagliatamente ogni aspetto del sentiero iniziatico.