Per Vittorio Sgarbi vale il detto..

Per Vittorio Sgarbi vale il detto: se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. È un patrimonio dell’umanità bisognerebbe metterlo nei siti da proteggere ma forse in qualche modo c’è già. Proprio come certe città di sconfinata bellezza anche lui è un essere raro quindi sacro. Ma perché raro perché spicca tanto nelle masse in particolare politiche? È pecora nera in mezzo al belare delle pecore bianche o meglio come dice anche lui stesso alle greggi di capre a cui si riferisce talvolta. Quel suo uso delle parole è caratteristica. Vediamo cosa sono e chi sono le capre. La caratteristica della capra si delinea su due aspetti: la capra è ignorante cioè ignora ciò che ha valore. La capra ha una scala di valori sbagliata. Il problema è non avere una scala di valori o averla e non crederci davvero che è ancora peggio. La capra non crede in nulla o meglio: finge di credere in qualcosa. Le parole della capra suonano stonate falsate non sostenute dal suono armonici della verità: la capra è finta e falsa. La bellezza del suono della verità non le appartiene.

Sabrina Colle;Vittorio Sgarbi
La capra ha compiuto un atto di rinuncia in altre parole ha fatto un atto di mancanza di credere in qualcosa. Fa bene stare in mezzo alla mediocrità perché è il modo di apparire: la mediocrità è una cornice. La capra non vive poiché ha scelto di essere massificata non appare e non si distingue rinuncia alla propria personalità per prostituirsi e lasciarsi assoggettare dal potere di qualcosa e di qualcuno non importa poi chi o cosa sono solo momenti. Non stiamo parlando di fatti e di epoche ma di qualcosa che fa o non fa la storia. Chiedo scusa alle capre animali anche simpatici ma estrapoliamo qui il senso della durezza mancanza di duttilità nel credere in qualcosa come via di principio come appoggio per cui valga la pena di vivere. È un altra se non la primaria delle caratteristiche è un assoluta ricerca del senso della verità la stessa che aveva in corpo gente del calibro di Falcone e Borsellino gli eroi martiri immolati al sacrificio per avere la primaria colpa di credere in qualcosa che in quel caso si chiamava: senso dello Stato e senso del dovere.la vita non importa quindi è sacrificabile alla verità ci insegna Cristo stesso. Qui c’è una scelta: lasciare che la paura prenda il sopravvento o andare oltre ed essere uomini. La capra quindi è un uomo a metà. Prendiamo quindi esempio da Sgarbi come se ci riferissimo alle picconate di Francesco Cossiga. Il senso di affabulazione del testimonial che si passa la torcia che illumina la vita da persona a persona. Come Cassandra che in mezzo a una massificazione standard qualunquistica e bugiarda sostiene davanti a tutto e tutti la bandiera della ricerca di purezza il senso di verità. Senso di vita e verità sostenuto in questo caso dal credo dell’arte. Arte a maiuscola come superiore sublimazione della vita che spicca sulle vette sociali oltre classi e caste. Arte come creazione superiore atto che avvicina all’ente supremo stesso. Ecco che il senso di verità è al di la del tempo e al di la dei fatti in se. Fatti e tempo sono solo esempi, vita vissuta spazi del tempo in cui l’essere umano trova se stesso in un contesto in cui crede. Estrapoliamo qui l’essenza alchemica che ci interessa che si fa ricerca della purezza. La definizione di ignoranza è proprio questa allora: l’ignorante ignora il senso della vita cioè non da valore a qualcosa in cui credere. L’ignorante crede erroneamente che rinunciare al cuore che crede sia la via della vita la scorciatoia da prendere. Non esiste nessuna scorciatoia. L’ignorante ignora che la sua rinuncia a non credere gli fa perdere l’essenza della vita e lo fa sconfitto in se. L’ignorante così perde la lucidità della verità non l’ha più e quindi si perde nel suo errore divenendo incapace di leggere la realtà in cui vive e se anche la capisse in alcuni tratti non gli da il dovuto valore. L’ignorante è un cieco nell’oscurità del labirinto. L’ignorante sposando la menzogna perde il senso di verità e diviene cieco biblico. Colui che ignora è incapace di leggere ciò che succede dentro e fuori di se si è anima persa rinunciataria dell’essenza della vita. L’ignorante è un immaturo o un rinunciatario è la stessa cosa. Quelli che Totò lucidamente definì caporali per distinguerli dagli uomini cioè coloro che credono e credendo in qualcosa hanno trovato la via cioè qualcosa per cui vale la pena di vivere. Il caporale nel gioco degli equilibri abbaia ai soldati sotto di lui e si fa schiacciare dagli ufficiali sopra. Ecco che allora sono loro che fanno la storia i grandi testimonial che hanno il coraggio di stare e dire essendo fuori dal coro degli amalgamati e dei succubi schiacciati dal potere del momento. Nel momento del bisogno sanno cioè vedono oltre hanno gli occhi per vedere, la vista del cuore donata dal credere. Il potere che tutto e tutti inghiotte non può divorare coloro che credendo in qualcosa per cui vale la pena vivere, non si lasciano inglobare rimando fedeli a se stessi e al senso di verità che li caratterizza cioè sostiene. Come un sacro fuoco e in realtà lo è. Il senso di verità è non una ma la via dello Zen. Il Do (via e vita) nell’essenza del buddismo Zen da forma a ogni cosa della vita terrena. Ogni cosa della vita viene innalzata sublimata ad arte, quindi pretesto della Via buddica. In questo caso il senso dell’arte e della cultura è il sostegno che anima e da forma alla persona. Il potere quindi con le sue spire si ferma davanti alla forza reale di chi crede dando il senso alla vita stessa, cioè andando oltre la paura della morte e scoprendo il tesoro che c’è dentro: l’essenza. Meglio il flusso della vita immortale che il patto col il diavoletto del momento. È il senso di verità vissuto che da diritto ad entrare nel proprio posto nella storia umana. E per tutti gli altri che non hanno vissuto del tutto consumati dalla polvere del tempo, rimane il mortale anonimato.