Marga o Nobile Ottuplice Sentiero (buddismo 2° parte)

Afferma: “C’è la via che porta alla cessazione della sofferenza” Qual è la Nobile Verità del Sentiero che conduce alla cessazione di DUKKHA? E’ il Nobile Ottuplice Sentiero e cioè:
Retta Comprensione (samma ditthi)
Retta Motivazione (samma sankappa)
Retta Parola (samma vaca)
Retta Azione (samma kammanta)
Retta Vita (samma ajiva)
Retto Sforzo (samma vayama)
Retta Consapevolezza (samma sati)
Retta Concentrazione (samma samadhi)
Questi otto fattori costituiscono l’essenza dell’ideale di vita buddhista. Sono un programma attentamente considerato di purificazione del pensiero, della parola e delle azioni che ha come risultato finale la totale cessazione dell’avidità e il conseguente sorgere dell’Illuminazione, la Perfetta Saggezza. Gli otto fattori non sono tappe da percorrere in sequenza, una dopo l’altra, bensì rappresentano una sinergia di elementi paragonabili ai fili attorcigliati che formano un’unica fune. E’ tuttavia inevitabile presentarli in sequenza, sebbene praticare l’Ottuplice Sentiero non deve essere confuso con il semplice apprendimento teorico del medesimo.
Retta Comprensione (samma ditthi) – La Retta Comprensione ci accompagna per tutto il cammino dell’Ottuplice Sentiero. Le convinzioni condizionano le azioni, ma anche il modo di percepire. Comprendere rettamente è molto di più di un semplice sapere. Comprendere significa che dobbiamo lasciar andare il nostro istintivo attaccamento a noi stessi, alle cose e alle persone, la passato, al presente e al futuro, al desiderio e a tutti i nostri presunti bisogni. Comprendere significa capire che l’avidità è sofferenza, l’attaccamento è sofferenza, il desiderio egoistico è sofferenza. Il Buddha disse: “Che cos’è la Retta Comprensione? La comprensione della sofferenza, la comprensione dell’origine della sofferenza, la comprensione della cessazione della sofferenza, la comprensione della via che conduce alla cessazione della sofferenza”. Coprendere significa dunque abbracciare le quattro Nobili Verità e fare di loro lo strumento del nostro risveglio interiore, che ci consentirà di vedere in modo completamente diverso tutte le cose, e cioè “semplicemente come esse sono”, senza il velo delle nostre illusorie percezioni.
Retta Motivazione (samma sankappa) – Questo fattore è anche tradotto con “Retto Pensiero”. Si tratta degli aspetti intenzionali e decisionali della mente, fermo restando che quelli cognitivi appartengono al primo fattore, cioè alla Retta Comprensione. La diversificazione, come detto, è puramente concettuale, perché non si dà intenzione senza una chiara visione. Tuttavia se la comprensione non è “retta”, nessun pensiero decisionale potrà essere efficace. L’insegnamento buddista precisa che la motivazione è “retta” quando realizza spinte positive consistenti nel non-attaccamento, nell’amorevolezza e alla non violenza. Analogamente, bramosia, inimicizia e violenza impediranno lo sviluppo del Retto Pensiero.

Chi abbia compreso la giustizia distributiva del KARMA, ovvero l’armoniosa Legge di causa-effetto, perseguirà scopi in accordo con tale Legge, e le sue motivazioni diverranno “rette” proprio perché scaturiranno da una mente rinnovata, che spontaneamente tenderà sempre più a sviluppare atteggiamenti benevoli verso tutto e tutti. Attraverso le pratiche meditative, viene facilitata l’acquisizione del giusto atteggiamento mentale che, indipendentemente dalla nostra volontà cosciente, potrà ribaltare la nostra istintiva avidità, trasformandola in tranquilla rinuncia, in non-desiderio, in non-azione. Al tempo stesso, anche la nostra istintiva avversione, o fuga dalla realtà, troverà un opportuno “antidoto” nell’atteggiamento di benevolenza universale, che sostituirà alla paura un “andare verso” le cose senza alcun timore.
Retta Parola (samma vaca) – Retta Azione (samma kammanta) – Retta Vita (samma ajiva) – Unifichiamo in una sola trattazione i tre fattori suddetti perché essi nel loro insieme formano la prima ripartizione dell’Ottuplice Sentiero, ovvero la disciplina morale (Silakkhandha). Nel Buddismo non esistono norme vere e proprie, fini a sé stesse o che impongono obbedienza. E allora perché si parla di disciplina morale? Le intenzioni non sono etiche, ma puramente spirituali, sebbene indirettamente producano ANCHE un notevole risultato etico. Il Dharma si occupa molto di benessere sociale e di compassione per tutti gli esseri viventi, tuttavia nell’ottuplice Sentiero le intenzioni sono interamente dedicate alla liberazione individuale ed interiore da DUKKHA. Il termine pali SILA, tradotto con “etica”, implica una sovrapposizione di significati: una condotta conforme ai principi morali, i principi stessi, le virtù che scaturiscono dalla “retta vita”. A differenza delle religioni monoteistiche, che concettualizzando un dio paternalistico sono costrette a sviluppare etiche di obbedienza, magari all’insegna del timore, il Buddismo punta piuttosto ad una idea di ARMONIA fra tutti gli esseri viventi e tutte le cose. Quindi nessuna indicazione andrà vissuta come rigidamente normativa, perché si tratta di fattori che ci aiutano a liberarci da DUKKHA. Ecco perché non ci interessa la semplice osservanza formale o l’applicazione troppo letterale: piuttosto dobbiamo scavare con la mente dentro questi principi per assaporarne il piacevole e benefico apporto. Detto questo, passiamo a commentare i tre passi che caratterizzano Silakkhandha. Retta Parola: sia la forma verbale che scritta della comunicazione possono avere enormi conseguenze. La parola può spezzare vite, creare nemici, ma anche infondere saggezza e fondare la pace. Il Budda espone quattro tipi di retta parola: astensione da parola falsa, da parola che calunnia, da parola aspra e da parola oziosa. Con Retta Azione si intende, in generale, un uso appropriato di noi stessi e del nostro corpo. Ovviamente l’aspetto principale della retta azione riguarda il non nuocere agli altri, ma anche non prendere ciò che non è dato. Si noti che non ci si limita all’astensione dal furto, ma anche da un possesso troppo bramoso. Nella retta azione va considerato anche un sano atteggiamento nei confronti della sessualità, rispettoso delle esigenze, dei ruoli e degli impegni di ciascuno. Con Retta Vita si intende infine il guadagnare appropriatamente i mezzi di sussistenza. Questo fattore è anche detto “Retti Mezzi”. Tra i mezzi di sussistenza nocivi a sé e agli altri, il Budda ne elenca almeno cinque: commercio di armi, di esseri umani (ovviamente all’epoca del Budda esisteva lo schiavismo), di carne, di veleni e di sostanze comunque nocive alla salute. In generale, qualsiasi mezzo di sussistenza che dovesse implicare danno o sofferenza negli altri va evitato. Questo è il corretto atteggiamento buddista, indipendentemente dalla mera osservanza formale di regole.

Retto Sforzo (samma vayama) – La purificazione della condotta attraverso i 3 precedenti fattori prepara alla seconda partizione del sentiero: quella della Concentrazione (Samadhikkhanda). Attraverso l’atteggiamento mentale etico di Silakkhandha (Parola – Azione – Mezzi di vita) giungiamo cosi all’educazione mentale vera e propria, costituita da: Retto Sforzo, Retta Consapevolezza, e Retta Concentrazione. Lo scopo ultimo dell’ottuplice Sentiero è quello di produrre lo stato di visione profonda (saggezza) che sarà lo strumento principale della liberazione da DUKKHA. Questo non vuol dire che coloro che praticano l’ottuplice sentiero non possano provare stati di dolore sia fisico che morale, ma certamente l’atteggiamento con cui potranno affrontare tutte le cose sarà sempre immune da illusioni, angosce, timori, preoccupazioni, a patto che si realizzi correttamente la giusta visione di saggezza. Tornando a Samadhikkhanda (ovvero Sforzo – Consapevolezza – Concentrazione) un esempio molto semplice illustra l’interazione di questi 3 fattori, e di come essi concorrano insieme nel realizzare la Concentrazione. Tre bambini giocano in giardino, e decidono di cogliere i fiori di un albero, che però è troppo alto. Allora, il primo bambino piega la schiena per far salire il secondo, che però in una simile posizione precaria barcolla, quindi il terzo bambino gli offre come appoggio la propria spalla. Finalmente, grazie allo sforzo del primo bambino e all’appoggio del terzo, il secondo bambino riesce a raggiungere i fiori. Il bambino che, sollevato, arriva ai fiori rappresenta la Concentrazione, la cui funzione è quella di unificare la mente. Per farlo, ha bisogno delle energie del retto sforzo (simboleggiato dal bambino che lo regge sulla schiena) ma anche della stabile consapevolezza fornita dall’attenzione, simboleggiata dal terzo bambino. Il termine “sforzo” non deve indurre a pensare che debba trattarsi di una fatica mentale, in realtà si tratta di lasciar fluire la nostra energia che richiede indubbiamente costanza e applicazione, tuttavia senza eccedere. Si può pensare ad uno “sforzo senza sforzo”. O anche, con le dovute distinzioni, alla “forza della non-azione”. Resta il fatto che ognuno è direttamente responsabile della propria liberazione. Che il Buddismo produca personalità passive come vorrebbero alcuni pregiudizi è totalmente inesatto, al contrario il cammino buddista non aspetta miracoli dal Cielo, ma punta sull’educazione della mente, chiave di volta dell’intero Sentiero. L’inizio del cammino dell’ottuplice Sentiero è infatti una mente inquinata, contaminata e confusa; la realizzazione è la mente liberata, purificata e illuminata dalla saggezza. Questo stato, oltre ad una corretta visione, crea una condizione particolarmente favorevole a modificare il proprio karma, ottenendo facilmente dei benefici di ogni tipo che ogni persona anche semplicemente incamminata su questo Sentiero sperimenta innumerevoli volte, attraverso la realizzazione di obiettivi, la significatività delle sincronicità temporali, l’elevazione del proprio stato vitale. Le tecniche di meditazione e la recitazione dei mantra sono la “palestra mentale” che facilita il raggiungimento di questi risultati e costituisce un ottimo metodo per realizzare correttamente il Retto Sforzo.
Retta Consapevolezza (samma sati) – Il Buddha afferma che il DHAMMA (Darma in sanscrito), la vera natura delle cose, è direttamente conoscibile, senza tempo, e chiede di essere toccato e visto, sebbene tale esperienza sia inesprimibile. La verità ultima è dunque dentro di noi, ma affinché divenga liberante, deve essere vissuta. Non serve accettarla per fede, in virtù dell’autorità dei testi o del maestro, né comprenderla intellettualmente. La si deve conoscere personalmente attraverso la visione profonda, la si deve interiorizzare e fare propria, perché è un conoscere ma allo stesso tempo un immediato vedere. La parola in lingua pali SATI viene tradotta con “consapevolezza”, tuttavia un significato più completo è “facoltà mentale che consente una visione profonda e panoramica, centrata sul presente, emotivamente neutra e distaccata”. La retta Consapevolezza non è dunque il semplice “stato cosciente” bensì è una coscienza portata ad un’intensità particolare in cui la mente è mantenuta in uno stato di nuda attenzione, ovvero osservazione distaccata di quanto sta accadendo dentro di noi e attorno a noi “qui ed ora”. Consapevolezza “senza scelta e senza giudizi”, che osserva senza selezionare e senza afferrare, e che non cede nella rete dei pensieri discriminanti. Nella pratica della retta Consapevolezza, la mente viene educata a rimanere nel momento presente, aperta, calma e sollecita, tutta intesa all’esperienza dell’evento attuale. Giudizi e interpretazioni sono sospesi o, se si presentano, vengono registrati e subito abbandonati. L’obiettivo è la pura osservazione di tutto ciò che si produce nel momento in cui si produce, cavalcando l’incalzare degli eventi come un abile surfista cavalca le onde dell’oceano. Ecco perché molti maestri, specialmente nello Zen, istruiscono i loro discepoli con affermazioni apparentemente enigmatiche del tipo: “quando mangi, mangia; quando cammini, cammina…” La mente consapevole non oscilla tra passato e futuro ma resta ancorata nel presente. Tale forza mentale può essere efficacemente utilizzata sia in modo indirizzato sull’oggetto (obiettivo) che per produrre la visione profonda di saggezza. La retta Consapevolezza viene anche coltivata mediante una pratica insegnata dal BUDDHA stesso, chiamata “le quattro basi della presenza mentale”, che consiste nella contemplazione consapevole delle quattro sfere della percezione: il corpo, le sensazioni, gli stati mentali e i fenomeni.
Retta Concentrazione (samma samadhi) – Lo stato di SAMADHI (tradotto con Concentrazione) è il risultato di una costante PRATICA MEDITATIVA. Esso è caratterizzato da un atteggiamento mentale “unificante”, ovvero che indirizza le energie mentali in una chiara direzione, senza dispersioni o confusione. Il SAMADHI non è realizzabile in presenza di contenuti distruttivi, come ad esempio l’aggressività. La mente concentrata ha due caratteristiche specifiche: l’incrollabile attenzione verso un oggetto e la conseguente calma delle funzioni mentali. Qualità che la differenziano nettamente dalla mente non concentrata, la quale produce fatica mentale nel caso dell’attenzione, che sarà poi inevitabilmente discontinua e inefficace.
SAGGEZZA o ILLUMINAZIONE – Benché la Retta Concentrazione occupi l’ultimo posto fra i fattori del Nobile Ottuplice Sentiero, non rappresenta il culmine del cammino. La Concentrazione rende la mente salda e ferma, ne unifica i componenti, spalanca paesaggi di beatitudine, forza e serenità. Ma, da sola, non basta a raggiungere il fine più alto: la liberazione dalle catene di DUKKHA per mezzo della saggezza, ovvero della mente finalmente illuminata. Per mettere fine a DUKKHA occorre fare dell’Ottuplice Sentiero uno strumento di elevazione spirituale e utilizzarlo per sviluppare la visione profonda capace di svelare la verità ultima delle cose che, come detto precedentemente, può realizzarsi solo attraverso l’esperienza personale, secondo modalità particolari che sono specifiche di ognuno.

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